Il forzista dissidente Raffaele Fitto è già partito all’attacco intimando dal suo blog di “azzerare tutte le nomine nel partito, dopo il drammatico risultato in Emilia e Calabria”. L’azzurro Maurizio Gasparri si spencola a (ri)dire che bisognerà fare le “primarie di coalizione”. Fabrizio Cicchitto, Ncd, chiarisce che “il tentativo di omicidio di Forza Italia nei confronti di Ncd si è tradotto in un suicidio”. Gianni Alemanno, Fdi-An, parla di “un centrodestra non più competitivo, ora serve un nuovo inizio”. Insomma, siamo ancora al balbettio, per un risultato regionale che, sia in Emilia che in Calabria, ha spianato il centrodestra sin qui noto, consegnandolo a una situazione mai vista, che sottende un caos assoluto per il futuro: fino a ieri era immaginabile, oggi è certificato. L’ultimo atto del vecchio centrodestra, ma senza idee per il nuovo, Salvini trionfante a parte.
Anzitutto, i numeri. In Emilia, la Lega ha non solo superato (come già si diceva prima del voto) ma addirittura doppiato Forza Italia: nel 2010 aveva preso il 13,7 per cento, contro il 24 del Pdl; adesso rasenta il 20 per cento con Forza Italia all’ 8 per cento, e l’Ncd al 2,6. In Calabria, dove la Lega non c’è, Forza Italia rosicchia il 12,3 per cento, il Nuovo centrodestra che da solo supera di poco il 6 per cento e con il 2,6 dell’Udc arriva all’8,7. Cosa quest’ultima che fa twittare pietosamente ad Angelino Alfano: “Un ottimo risultato: per noi la Calabria era la vera scommessa, l’abbiamo vinta”. Auguri.
In realtà non ha vinto nessuno. Anzitutto, perché a nessuno è riuscito il miracolo di pescare nell’astensione. Tutto il contrario: si è raddoppiata in Emilia (ha votato il 37,7 per cento contro il 68,1 del 2010) ed è aumentata pure in Calabria (43,8 degli aventi diritto contro il 59 del 2010): un dato drammatico, col quale la politica dovrà fare i conti per quanto fatichi sempre a prendere la questione di petto.
Ma poi, quanto ai voti attivamente espressi: al di là del punto storico segnato dal Carroccio di Salvini, siamo alla rivoluzione copernicana. Siamo in sostanza passati da un centrodestra a polo unico, con Berlusconi nei vari formati a fare da magnete attrattivo degli altri partiti (Lega, Udc, An e tutti i figli e nipotini di costoro nati in un ventennio), a un centrodestra bipolare: la Lega populista di qua, il moderatismo-neocentrista di là. In mezzo, là dove c’era il Cavaliere a mediare e guidare, e alla fine a fare da lievito, adesso non c’è niente: ed è difficile che le selezione dei “giovani azzurri” di questi giorni cambi il quadro. La posizione da “patto del Nazareno”, intermedia tra l’opposizione e l’ingresso al governo, si svuota di senso, a prescindere dalla tenuta dell’intesa (fino alle prossime politiche, dopotutto, gli equilibri parlamentari restano immutati).
Dunque, mentre già l’Ncd Maurizio Lupi si affretta a chiarire che “non è rincorrendo Salvini che si recuperano i milioni di voti persi” e che “se Berlusconi lo insegue, non ci sarà alcuna alleanza”, il problema comune a tutto il centrodestra è quello – radicale - di ripensarsi. Deve certamente farlo Forza Italia, che sinora è rimasta in bilico fra la conferma della sua leadership e il suo superamento ma rischia davvero in mezzo a questa tenaglia di scomparire, magari a braccetto con l’Ncd. Ma dovrà farlo anche la Lega di Salvini, che ora pare galoppare scalpitando verso Roma, ma che da sola – essendo ancora una forza sub-regionale, tutt’altro che nazionale – non potrebbe ambire a governare davvero, anche solo il campo dell’opposizione.