I due Matteo della politica nazionale, comunque, che si sono scelti a vicenda come avversario preferito, festeggiano entrambi. Matteo Renzi si dice soddisfatto: «Male l’affluenza, bene i risultati: 2-0 netto», e twitta fotografando, con una certa soddisfazione, il successo della Lega ai danni di Forza Italia e Beppe Grillo. Il vicesegretario dem Lorenzo Guerini sottolinea: «Il Pd ben sopra il 40 per cento». Non entra in 140 caratteri il fatto che, come e più che alle ultime europee, l’ormai simbolico 40 per cento democratico sia raccolto tra poco più di un terzo degli elettori. E non entra neanche che in Calabria in realtà il Pd abbia ottenuto il 23 per cento, a vantaggio della lista “Oliverio presidente”, all’12.
Male affluenza, bene risultati: 2-0 netto. 4 regioni su 4 strappate alla dx in 9 mesi. Lega asfalta forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40%.
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 24 Novembre 2014
Affluenza bassa dato negativo, bene @Oliverio_MarioG e @sbonaccini presidenti, @pdnetwork ben sopra il 40%, 5 regioni su 5 da inizio anno
— Lorenzo Guerini (@guerini_lorenzo) 24 Novembre 2014
Dall’opposizione Matteo Salvini si elegge leader popolare: «Pochi amici fra i potenti, tanti amici fra la gente». Salvini non vince ma segna il punto. E con più titolo può in realtà atteggiarsi a leader del centrodestra, avendo più che doppiato, in Emilia, Forza Italia, rimasta sotto al 9 per cento (8,36).
Il pallone #Renzi si sta sgonfiando. La #Lega vola, la nostra Comunità cresce ovunque. Pochi amici fra i potenti, tanti Amici fra la gente.
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 24 Novembre 2014
Se in Calabria ha vinto in scioltezza il candidato del centrosinistra Mario Oliverio, con oltre il 60 per cento dei consensi, in Emilia Romagna vince Stefano Bonaccini, il candidato renziano, sì, ma il centrosinistra rimane per la prima volta da quando si eleggono i presidenti di regione, sotto il 50 per cento dei voti. Anche di quei pochi espressi. Il Pd, come ha già sottolineato Guerini, è sopra al 40 per cento (44,52 per la precisione), ma il confronto dei voti assoluti è allarmante: alle scorse regionali gli elettori dem erano 857.613. Oggi sono 535 mila. Rispetto alle europee è pure peggio: con l’affluenza al 70 per cento il Pd prese un milione e 200 mila voti. «È mancato un pezzo di Pd che è rimasto a casa perché tanto sapeva che si vinceva e ha pesato molto l’inchiesta sulle spese dei consiglieri», è il commento di Bonaccini.
Lo sfidante Alan Fabbri, ingegnere, bassista rock con tanto di codino («Taglialo» gli ha detto inutilmente Silvio Berlusconi), ma soprattutto leghista, perde, è vero, ma il suo nome sarà legato a un passaggio storico per la Lega e per la cavalcata di Matteo Salvini, che infatti ha spinto fino all’ultimo minuto, e anche oltre, twittando fino alla chiusura dei seggi. A differenza del Pd la Lega ha raddoppiato il risultato percentuale e, nonostante l’astensionismo, non conferma il valore assoluto delle regionali 2010 (quasi 290 mila elettori contro circa 233 mila), ma è cresciuta e non poco rispetto alle europee (quando, con l’affluenza al 70 per cento, mise insieme 116 mila preferenze).
La tornata non va bene al Movimento 5 stelle. Alle precedenti regionali in Emilia Romagna, i pentastellati presero 161 mila voti, con Giovanni Favia, oggi espulso, candidato presidente, che mise insieme il 7 per cento. La percentuale di oggi il doppio, è vero (13 per cento), ma i voti assoluti sono quelli del 2010 (167 mila). Potrebbe sembrare una tenuta, ma rispetto alle europee di maggio scorso è un tonfo: dove sono finiti i 444 mila voti, cioè il 19 per cento? In Calabria l’unico dato con cui si può fare un paragone è quello delle ultime europee: lì i consensi per il simbolo di Beppe Grillo erano stati 160 mila, pari al 21,5 per cento. Oggi siamo poco sotto al 5 per cento, per neanche 38 mila voti.
Prova difficile anche per il costantemente ridimensionato “grande” centro di Ncd e Udc. L’alfaniano calabrese Nino D’ascola, si difende bene, soprattutto rispetto al risultato di Forza Italia, e si attesta attorno al 9 per cento. Dove però il simbolo è uno solo, in Emilia, il candidato Alessandro Rondoni si ferma al 2,63 per cento, superato dalla sinistra della lista Tsipras, “l’Altra Emilia Romagna”, che, pur senza Sel, che è in coalizione col Pd e prende qualche voto in meno, pesa il 4 per cento. Rondoni, cattolico, vicino a Comunione e Liberazione, non porta certo a casa un buon risultato, soprattutto considerando l’impegno elettorale dei “big”, Angelino Alfano, Gaetano Quagliarello e Maurizio Lupi .