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Mondo
dicembre, 2014

Da Disney a Telecom, ecco come evitavano le tasse "a casa" Juncker

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Una nuova serie di rivelazioni del network ICIJ sui risparmi fiscali delle grandi multinazionali in Lussemburgo rimette in gioco la credibilità di Jean-Claude Junker, ex premier del Granducato prima di diventare presidente della Commissione Europea. Tra le aziende citate la Walt Disney, la Koch Industries, Skype e E-Bay

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Una ricorrenza così amara Jean-Claude Juncker, da poche settimane neo presidente della Commissione europea, non se l'aspettava. Martedì 9 dicembre è il giorno del suo 60esimo compleanno. Ma è anche il giorno in cui nuove indiscrezioni si abbattono sul suo paese, il Lussemburgo, dove è stato premier dal 1998 la 2013.

Esclusivo
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È “LuxLeaks 2”, una serie di documenti confidenziali che descrivono come il Granducato abbia eretto da molti anni un muro di scudi fiscali: l'ideale per chi, investendovi anche fino a miliardi di dollari o di euro, finisce per pagare imposte ridicole, quasi a zero, grazie a un sistema di deduzioni ed esenzioni, invece del solito 29 per cento. Il sistema consente, soprattutto alle grandi corporation americane o europee con filiali lussemburghesi, di risparmiare tasse per la gioia delle case madri e dei propri azionisti, baciati da lauti profitti.

È uno scenario già raccontato dall'Espresso (numeri 45 e 46), ma che si arricchisce di ulteriori rivelazioni su 35 altre società, da Walt Disney a Koch Industries, una conglomerata americana da 100 mila dipendenti; da E-Bay, a Skype; da Hutchison Whampoa, il colosso cinese noto da noi come operatore telefonico di 3, a Telecom Italia, il nome più illustre della lista nazionale.

Il caso
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Anche questi file sono stati messi a disposizione dal network americano International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), che li ha ottenuti dopo la prima puntata di novembre dell'inchiesta, in codice “LuxLeaks”, e li ha distribuiti ai suoi partner: per l'Italia L’Espresso, Le Monde per la Francia, il Guardian per l'Inghilterra e così via, per un totale di più di 80 giornalisti in 26 paesi.

Il 17 gennaio 2007 la società di revisione PriceWaterhouseCoopers (PWC) scrive a Marius Kohl, il funzionario che da molti anni dirige l'ormai famoso “Bureau d’Imposition Sociétés 6”, al numero 18 di rue di Fort Wedell, la centrale dove si decide il destino di chi vuole spuntare grossi sconti per le proprie iniziative finanziarie. Lo fa a nome di Telecom Italia Finance SA (TIF), controllata da Telecom Italia e definita una “sorta di banca”, chiedendo l'approvazione del suo “tax ruling”, in pratica un accordo fiscale preliminare coerente con l'architettura normativa lussemburghese, ma del tutto favorevole a neutralizzare l’impatto delle tasse.
In quel periodo la società romana, da pochi mesi, non è più guidata da Marco Tronchetti Provera, ed è alle prese con la sua riorganizzazione.

Là, in Lussemburgo, TIF deve procedere a una mossa di grande portata: puntare quasi 550 milioni di euro (esattamente 549,9), il 57 per cento di quanto ha in cassa a ottobre 2006, su una SICAV belga, società di investimento a capitale variabile. Che però in Belgio è sostanzialmente “tax free”, ad eccezione di alcune categorie di spese, come ad esempio le parcelle professionali, non deducibili, somme ridicole. Il risultato concreto è notevole. La “banca” lussemburghese di Telecom si avvale infatti di un successivo vantaggio anche nel Granducato, causa alcune squisite questioni giuridiche, come il trattato contro le doppie imposizioni Belgio-Lussemburgo, e la direttiva europea madre-figlia. L’Espresso ha chiesto, inutilmente, a Telecom Italia un commento sulla vicenda.

[[ge:espresso:inchieste:1.187895:article:https://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/11/13/news/luxleaks-gli-affari-dei-no-tax-in-italia-1.187895]]Anche la Fininvest entra nella nuova lista di ICIJ, anche se in un modo ben diverso dagli altri casi. Il “ruling” che la riguarda risale al 27 dicembre 2010. Firmato da monsieur Kohl, dà via libera a un’operazione seguita da Alessandro Arnone, allora manager di Trefinance, la finanziaria lussemburghese del gruppo di Silvio Berlusconi. E’ una transazione a doppia mandata. Da un lato Trefinance prende a prestito dei titoli di società europee per un valore di 125 milioni di euro. Dall’altro offre in garanzia, tecnicamente un “collateral”, cash per un valore di 130 milioni. Dov’è il guadagno? Nel differenziale tra gli interessi originati dal “collateral” e le commissioni dovute alla banca per il mutuo dei titoli. La vera novità è che siamo di fronte a un ruling regolare, senza ombre, non come la maggior parte di quelli siglati da Marius Kohl, come si è visto in precedenza. Se qui se ne parla, è perché proprio la settimana scorsa la Trefinance è stata messa in liquidazione. Troppe le perdite nel 2013: oltre 41 milioni di euro.

LuxLeaks
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Nell’elenco dei nuovi ruling, quelli criticati per le ragioni esposte sopra, entrano anche altre due società italiane, sulle quali sono stati effettuati investimenti immobiliari, da parte un gruppo bancario del Bahrain e da una banca francese, però per cifre modeste. Il grosso invece, la vera “polpa” ha per oggetto altri giganti. Come Walt Disney, protagonista di un “ruling” del 2009 che, con uno schema in 34 mosse, le ha permesso di muovere vorticosamente capitali in almeno 24 delle sue consociate estere, in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Australia, Cayman Islands e Olanda con un meccanismo “taglia-tasse”. Tutto grazie all’ombrello lussemburghese. Un portavoce di Walt Disney ha però tenuto a ribadire: “Negli ultimi cinque anni il peso fiscale effettivo è stato in media del 34 per cento”. E Ernest & Young, che ha tra i suoi clienti Walt Disney ed altre società, ha dichiarato al network di ICIJ: “Noi forniamo consulenze fiscali in conformità con leggi nazionali e internazionali”. Sta di fatto però che, secondo la carte, proprio in seguito agli accordi curati da Ernest & Young con le autorità del Granducato, dal 2009 al 2013, le società lussemburghesi di Walt Disney hanno realizzato profitti per 2,8 miliardi di euro. E con un solo dipendente.

Dal canto suo Jean-Claude Juncker, dopo la prima ondata di articoli che l’ha messo sotto accusa, ha confessato che il sistema “non è in linea con la correttezza fiscale” e può aver violato “standard etici e morali”. Addirittura Pierre Gramegna, ministro delle Finanze del Lussemburgo, in visita a Milano il 3 dicembre, ha lanciato uno slogan: “Da una cultura del segreto a una cultura di servizio”. Si vedrà.

Ha collaborato Alfredo Faieta

Aggiornamento del 16 dicembre 2014, ore 13,06: HBG Gaming assolta perchè il fatto non sussite

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