A capo della Levo League, che negli Usa si batte per la parità uomo donna sul lavoro e non solo, l'attivista incarna un nuovo modello di femminismo. Pragmatico, ma con stile. Come le sue campagne. Per cambiare, prima di ogni altra cosa, il modo in cui le donne sono rappresentate sui media

“Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto prima, allora devi fare qualcosa che non hai mai fatto prima”. Tiffany Dufu parla veloce, ma con un tono soave e accogliente. E' un’intervista attesa per un mese che, però, alla fine, è quasi un privilegio per l'energia positiva che ti lascia. Nel 2012 l’Huffington Post Usa l'ha nominata fra le diciannove donne che “stanno guidando il cambiamento”, al fianco di altri nomi importanti come quello di Diane Sawyer e Hillary Clinton. La sua missione a capo della Levo League e come componente del launch team di Lean In è quella di lavorare per l’avanzamento delle donne in tutti i settori della società. "I miei genitori " dice "mi hanno insegnato a non aver paura di correre rischi, ad accettare nuove sfide perché solo questo può aiutarci ad ottenere ciò che vogliamo. Ricordo che la prima volta che mi misi alla prova fu alla scuola media, quando mi candidai a 'presidente di classe'. Persi ma imparai una grande lezione e cioé che anche se cadi, il mattino dopo ti svegli e il mondo è ancora lì, non è crollato con te”.
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La parola chiave che ricorre più  frequentemente durante la nostra conversazione è “cultura”: un elemento fondamentale da usare come una sorta di grimaldello per riuscire ad aprire porte e ambiti che, fino a poco tempo, fa erano inaccessibili per le donne. “Noi siamo una forza lavoro importante“ spiega Tiffany "eppure siamo rappresentate troppo spesso come se fossimo ancora negli anni ’50: mogli e madri prima di tutto. E non leader della società“.

Questa è stata una delle ragioni che ha spinto Lean In a cercare una collaborazione con Getty images per mettere insieme una libreria di immagini di donne assolutamente nuova e moderna che cancellasse, almeno visivamente, gli stereotipi che così faticosamente si sta provando a superare nella società.

Perché alla fine il punto, come sottolinea Tiffany, è sempre quello: “tu non puoi essere ciò che non puoi vedere”. Oppure, ribaltando la situazione, puoi decidere di non voler essere ciò che vedi, soprattutto se ciò che vedi sono immagini di donne con un computer in una mano e un bambino nell’altra, o di donne “di potere” rappresentate come delle macchine da guerra pronte a schiacciare chiunque.

La nuova galleria delle foto Getty, invece, include circa 250 immagini e rappresenta una grande varietà di “tipi” femminili: donne vestite in abiti eleganti ma anche comodi, con in mano un tablet o uno smartphone, ma addio alle borse di documenti con dentro il biberon.  E ci sono le sportive e quelle con i tatuaggi, ma soprattutto ci sono donne di tutte le età e di tutte le etnie.

“Quando una donna in carriera" dice Tiffany "decide di sposarsi e avere figli ancora oggi, la prima domanda è: “ma lascerai il lavoro?” come se questa fosse ancora una conseguenza inevitabile. Una domanda che però a nessuno viene in mente di fare ad un uomo, il cui eventuale ruolo di padre non viene mai percepito in conflitto con la sua carriera”.

Un atteggiamento da “età della pietra”, secondo Dufu, che si scontra con i grandi progressi fatti dalla società americana anche grazie alla politica “illuminata” di Barack Obama che ha scelto molte donne per ruoli di potere. “Se Hillary Clinton deciderà di correre per la presidenza" dice Tiffany "non ci saranno troppe discriminazioni, sebbene bisognerà continuare a combattere una serie di stereotipi”. Ad esempio, la tendenza, ancora troppo diffusa fra i media, ad occuparsi dell’aspetto di una donna più di quanto non accada con gli uomini.

Ci si trova di fronte ad un circolo vizioso, in cui le donne sanno di essere giudicate per il loro aspetto e, dunque, cercano di corrispondere a quei modelli che però cambiano in continuazione. Proponendo un’immagine sempre più giovane, sempre più magra, sempre più impeccabile.

Non a caso una delle ultime campagne promosse dall’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, lo scorso autunno, è stata quella dedicata alle bambine, chiamata “I am a girl, I am beautiful the way I am”, nata come risposta ai dati di uno studio che mostrano, in maniera inequivocabile che, per le donne, i problemi di autostima e accettazione del proprio corpo, iniziano gia verso i 6/7 anni e peggiorano intorno ai 10 anni quando, almeno l’80%, si sente inadeguata perché “grassa”.

La campagna e’ stata realizzata in collaborazione con lo Spark, un movimento che mette insieme, grazie ad internet, ragazze giovani, di diversi parti del mondo, che hanno un obiettivo preciso: “combattere la sessualizzazione delle donne e delle ragazze nei media”.

“Grazie alla petizione iniziata dalla tredicenne Julia Bluhm, ad esempio – spiega Dana Edell, direttore di Spark – siamo riuscite ad ottenere da Ann Shoket, editore del settimanale “Seventeen”, l’impegno formale a non utilizzare mai più photoshop per le foto delle modelle ritratte per la rivista”.

Comprendere l’impatto negativo che le immagini femminili, usate dai media e della pubblicità, possono avere sulle giovani donne è spesso difficile. “A giugno" dice Dana "sono stata invitata a parlare ad una conferenza organizzata in Islanda, proprio per discutere di sessualizzazione dell’immagine e per offrire strategie agli insegnanti di scuola media per rendere piu’ “forti” le alunne nei confronti dei modelli proposti”.

L’Islanda, infatti, è il paese dove le donne hanno raggiunto il più elevato grado di parità al mondo; tuttavia, negli ultimi anni, per la forte diffusione dei social, le ragazze hanno dimostrato segni di maggiore “crisi” determinata da modelli che prima ignoravano completamente.

E si torna, dunque, al punto di partenza e alla “cultura” che Tiffany Dufu mette alla base di ogni cambiamento. “Cultura, coraggio ma anche bravi maestri" dice "perché abbiamo assolutamente bisogno di modelli positivi e anche di persone che possano guidarci in momenti di incertezza e “illuminare” il nostro percorso”.

Quello che lei prova a fare praticamente ogni giorno con tenacia e con una passione che senti davvero arrivare da lontano. Il nostro tempo, però è finito e bisogna salutarsi. “Grazie per essere stata la mia ispirazione oggi" mi dice "e ricorda che noi siamo chi stavamo aspettando”.