La disperazione di Gaza, sull'orlo di una crisi umanitaria
Una tregua durata solo poche ore. Strade deserte. Acqua e luce razionate. Vittime in continuo aumento. E i complessi ospedalieri della Striscia quasi al collasso: "Non riusciremmo a sostenere un’altra settimana come questa”
E’ durata solo poche ore la tregua virtuale tra Israele e Gaza. Dopo 194 morti e circa 1400 feriti, la diplomazia internazionale sembrava essersi svegliata da un imbarazzante torpore e ha provato a far pressione sulle due parti per raggiungere uno stop alle violenze. La cordata diplomatica, che ha provato ad aprire uno spiraglio di cessate il fuoco, capeggiata dell’Egitto del presidente Abdel el-Sisi, ha visto accodarsi in serie Lega Araba, ONU, USA, la diplomazia europea e in ultima battuta il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas. Il gabinetto di governo israeliano si era detto disponibile a discutere la proposta egiziana, mentre Hamas e la Jihad Islamica hanno risposto picche: forse più una boutade ideologica che una vera intenzione di sostenere il confronto militare. Così sono ripresi i raid degli aerei dello Stato ebraico. [[ge:rep-locali:espresso:285499960]] Gaza intanto è sull'orlo di una crisi umanitaria. Secondo l’organizzazione britannica Oxfam , quasi quattrocentomila persone sono senza acqua e servizi igienico-sanitari e il novanta percento dell’acqua potabile è a rischio contaminazione. L'ufficio di coordinamento per i diritti umanitari (OCHA) riporta che almeno il 77% dei decessi riguarda civili, di cui il 30% è rappresentato dai bambini. Grazie agli “efficienti” miliziani di Hamas, che hanno colpito con i loro razzi i fili dell’alta tensione che fornisce elettricità a Khan Younes e a Deir Balah, settantamila persone sono senza elettricità. E se si aggiunge che a Gaza la luce era già razionata in periodi di otto ore per quartiere, si ha l’idea della drammaticità della situazione. Diciassettemila abitanti di Beit Lakhia, al-Atatara e al-Salatin–nord della Striscia- hanno, nei giorni scorsi, abbandonato le proprie case a seguito delle minacce israeliane di bombardare l’area da dove si ritiene siano partiti la maggior parte degli attacchi sul suolo israeliano. Si sono rifugiati nelle strutture dell’UNWRA, a Gaza city, dove sono ammassati in una delle scuole dell’agenzia per i rifugiati in condizioni drammatiche.
I complessi ospedalieri della Striscia sono quasi al collasso: negli ultimi giorni hanno dovuto trattare centinaia di feriti e hanno subito danni alle proprie strutture dovuti ai bombardamenti israeliani. Nell’ospedale di Al-Shifa – il più grande della Striscia - dottori e paramedici lavorano a turni massacranti, medicine e materiale per il pronto soccorso cominciano a scarseggiare. “La situazione è peggiore del 2012” si è lamentato con L’Espresso il direttore del pronto soccorso Ayman Sahabani. “Allora il valico di Rafah era aperto e un po’ di materiale medico riuscivamo a riceverlo, una tregua è necessaria, non riusciremmo a sostenere un’altra settimana come questa”. Nel centro di riabilitazione per malati cronici Al-Wafa, al confine con Israele, una decina di attivisti del collettivo militante pro-palestinese ISM (International Solidarity Movement) - di cui faceva parte anche l’attivista italiano Vittorio Arrigoni - hanno deciso di fare da scudi umani a protezione dell’ospedale bombardato sabato - e presidiano la struttura per fare da deterrente a possibili raid dell’aviazione israeliana. [[ge:rep-locali:espresso:285499961]] “In un mondo normale non dovremmo nemmeno essere qui” dichiara Charlie Andreasson, uno degli attivisti che a turno rimangono nell’ospedale. “La legge internazionale” aggiunge “proibisce di colpire qualunque struttura medico-sanitaria, ma l’esercito israeliano sembra fregarsene”.
Le strade di Gaza continuano ad essere deserte, nei pochi negozi di alimentari ancora aperti incominciano a scarseggiare alimenti e acqua, la mancanza di elettricità sta facendo marcire il cibo nei congelatori. L’unico segno di vita proviene dai richiami alla preghiera, dalle automobili dei media che si affrettano a filmare l’ultimo massacro di civili e da qualche carretto trainato da somari.
L’impasse legata alla mozione egiziana conferma le divisioni delle fazioni palestinesi, non solo con la leadership di Ramallah, ma anche all’interno degli stessi gruppi militanti. Le compagini politiche di Hamas e della Jihad Islamica, come confermato dai portavoce Mussa Abu Marzouk e Khaled al-Batash, si sarebbero dichiarate disponibili a discutere la proposta del Cairo, ma le rispettive compagini armate, le brigate Qassam e al Quds, non sembrano disposte a posare le armi e vedono la tregua come un sconfitta e una sottomissione ad Israele.
L’asimmetria dello scontro è li, davanti agli occhi di tutti: razzi fatti in casa e qualche ferrovecchio di produzione iraniana o siriana, contro la quarta potenza militare mondiale. I miliziani islamici non sembrano farsene una ragione e i vari Mario Rossi e Anna Bianchi – in questo caso i Mohammed e le Fatima - continuano a pagarne le conseguenze. Oggi, centinaia di migliaia di studenti palestinesi di Gaza, avrebbero dovuto ricevere i diplomi di maturità (Tawjili) necessari per accedere all’università. Ma molti di quei giovani non sapranno mai i loro voti.