Parlano i genitori del ragazzo arabo arso vivo per vendetta da estremisti ebrei per la morte di tre seminaristi israeliani. "Né il presidente né il primo ministro israeliani si sono fatti sentire"
Gerusalemme - Mentre continuano i
raid dell’aviazione israeliana su Gaza e mentre si conclude a Tel Aviv la conferenza di pace organizzata dal quotidiano Haaretz, la normalità sembra essere tornata per le strade di
Shuafat, il quartiere arabo di Gerusalemme est dove il sedicenne
Mohammed Abu Khdeir, arso vivo per vendetta da estremisti ebrei per la morte di tre seminaristi israeliani, viveva con la sua famiglia.
Le strade sono state ripulite dopo i furiosi scontri che nei giorni scorsi hanno visto confrontarsi giovani palestinesi con la polizia di confine, prima e dopo le esequie del ragazzo. Due pattuglie di poliziotti israeliani, dislocati a poca distanza dalla moschea e dalla casa di Mohammed, monitorano annoiati il corso principale. Ma presso la casa degli Abu Khdeir, la più grande famiglia del quartiere borghese (30mila abitanti circa) di Shuafat, l’atmosfera è diversa.
Il tendone per accogliere i visitatori è ancora li, come quel centinaio di sedie, perfettamente allineate, che nei giorni scorsi hanno accolto schiere di giornalisti e parenti della vittima. La casa di Mohammed è un continuo via vai di gente, specialmente donne, venute a porgere le condoglianze alla madre che, seduta sotto la pergola di tralci di vite, alterna sorrisi a momenti di pianto isterico.
Il padre del giovane, Hussein, titolare di un noto negozio di elettronica nel quartiere, parla piano e con rassegnazione: “Vedrai che troveranno il modo per giustificare l’omicidio di Mohammed dicendo che i responsabili sono malati mentali, faranno qualche anno in galera e poi troveranno il modo di spedirli in America o in Europa”.
Tre, delle sei persone arrestate per l’omicidio del giovane palestinese, sembra abbiano confessato e almeno uno di loro, secondo le indiscrezioni della stampa, sarebbe un giovane di una colonia vicina della stessa età di Mohammed.
L’efferatezza dell’omicidio dell’adolescente palestinese ha fortemente colpito l’opinione pubblica israeliana. I dettagli del suo omicidio sono addirittura raccapriccianti: dopo essere stato rapito, il giovane è stato trasportato nella parte ovest della città, qui è stato forzato a bere benzina, poi, cosparso con la stessa, gli è stato dato fuoco. Per alcuni analisti, il luogo del ritrovamento non lascia dubbi sulla matrice ideologica dell’omicidio: il corpo è stato ritrovato in un bosco presso Deir Yassin, il villaggio palestinese passato per le armi dalle milizie dell’Irgun nel 1948, massacro bollato come atto terroristico dall’allora leadership israeliana nonché da Einstein e Hannah Arendt.
La parte della società civile israeliana progressista, che ormai sembra giocare un ruolo marginale in Israele, schiacciata dall’irruenza ideologica delle destre di governo, ha voluto dare un segno di empatia. Centinaia di israeliani, religiosi e laici, si sono recati presso l’abitazione a Shuafat e hanno testimoniato la loro vicinanza alla famiglia.
La stampa locale ha riportato che sia il presidente dimissionario
Peres, sia il primo ministro israeliano
Netanyahu, avrebbero personalmente offerto le condoglianze agli Abu Khdeir. Il padre però nega. “Tra giovedì e venerdì ho ricevuto molte telefonate di condoglianze di ebrei e arabi, nessuno però si è presentato come presidente o primo ministro”.
Nella giornata di ieri, racconta Ansam, cugina di Mohammed, “le guardie del corpo del presidente Peres si sono presentate per richiedere un incontro con i genitori di Mohammed, ma le persone presenti li hanno cacciati via in malo modo”.
L’unico politico del governo israeliano che ha porto personalmente le condoglianze è stato il ministro dell’ambiente
Amir Peretz, oltre ai rappresentanti dei partiti arabi della Knesset, Ahmad Tibi e Hanin Zoabi. Recentemente, gli Abu Khdeir hanno incontrato a Ramallah il presidente palestinese
Mahmoud Abbas, il quale ha promesso alla famiglia di portare il caso di Mohammed presso le corti di giustizia internazionali.
Nei giorni successivi al funerale la tensione a Gerusalemme est non è scemata: il quotidiano britannico
The Guardian ha rilasciato un video che mostra il pestaggio da parte della polizia israeliana di
Tarek Abu Khdeir, il cugino di Mohammed. Nella villetta dove è agli arresti domiciliari per nove giorni, sotto l’accusa di aver lanciato pietre contro la polizia, Tarek, 15 anni, mostra ancora gli evidenti segni del pestaggio: “mi hanno ammanettato e poi hanno iniziato a colpirmi con calci e pugni, mi sono risvegliato due ore dopo all’ospedale”.
Ma Tarek è cittadino americano, vive e studia a Tampa in Florida e i rappresentanti statunitensi in Israele hanno fatto immediatamente sentire la propria voce, provocando l’imbarazzo e le immediate scuse ufficiali delle autorità israeliane. “Fatti del genere accadono spesso nei Territori occupati” lamenta un operatore dell’organizzazione dei prigionieri palestinesi Addameer “ma quando si tratta di ragazzini residenti in Cisgiordania, l’esercito insabbia tutto e chi viene arrestato, rimane in galera senza un’accusa anche per mesi”.
Prima dell’omicidio del giovane, Shuafat era un quartiere tranquillo, racconta Suha, la madre di Mohammed: “Naturalmente non c’era amicizia tra noi e i coloni, ma almeno una fredda convivenza; spesso venivano a fare compere qui, anche nel negozio di mio marito, e noi ogni tanto si andava a far la spesa a Ramat Shlomo. Ora le donne hanno paura ad uscire quando fa buio e portare i bambini a fare una passeggiata”.
A Gerusalemme est, la parte araba della città, circondata dalle colonie israeliane in continua espansione, la tensione rimane alta: ieri notte sono state arrestate 60 persone a seguito degli scontri tra giovani palestinesi e forze dell’ordine israeliane e molti altri lo saranno presto. Quel che è certo, è che a Shuafat e a Gerusalemme est, le cose non saranno più come prima.