Il martirio di San Lorenzo e altri capolavori di Vermeer e Michelangelo sono stati protagonisti dell'esperimento per vedere come reagisce il cervello umano davanti a un'opera d'arte
Una pala alta cinque metri e larga poco meno di tre, quasi 13 metri quadrati di arte purissima. Autore: Tiziano. È il “Martirio di San Lorenzo”, grandiosa opera pittorica dove il santo arso sulla graticola è incorniciato dalle luci delle fiaccole e da quella divina, ?che emergono potenti dallo sfondo notturno. Un dipinto che suscita emozioni contrastanti nello spettatore: paura, compassione, ribrezzo, ammirazione.
Su questo capolavoro cinquecentesco si è concentrato l’esperimento di BrainSigns, spin off della Sapienza Università di Roma guidato da Fabio Babiloni, docente di Fisiologia e di Ingegneria nell’ateneo. «Il nostro obiettivo», spiega Babiloni, «era capire come reagisce il cervello degli spettatori davanti a un’opera d’arte in condizioni reali, cioè al di fuori dell’atmosfera dei laboratori».
I ricercatori hanno chiesto a quaranta volontari di indossare una calotta con elettrodi per misurare l’attività dell’encefalo durante l’esposizione del dipinto alle Scuderie del Quirinale, e di altre opere nel corso della rassegna su Johannes Vermeer.
«Il cervello mostra un’attività maggiore, reagisce di più, quando l’individuo osserva un ritratto, un volto. Viceversa mostra una attività minore davanti a opere astratte, paesaggi, dipinti a sfondo religioso». Forti di questa esperienza, i ricercatori si sono spinti oltre. Hanno riprodotto l’esperimento in 3D, cioè davanti a una scultura: il “Mosè di Michelangelo”, conservato nella Basilica di San Pietro in Vincoli a Roma. Una statua alta e imponente che raffigura il profeta seduto, il viso corrucciato rivolto a sinistra, lo sguardo truce a rimproverare il suo popolo.
«Ci interessava capire se - potendo osservare un intero corpo umano da diverse angolature, i risultati ottenuti con i dipinti sarebbero stati replicati», continua il ricercatore. In effetti, incrociando lo sguardo di Mosé, l’attività cerebrale dei volontari risultava nettamente maggiore. Le applicazioni di questi esperimenti sconfinano con il cosiddetto neuromarketing: «Misurare le reazioni del cervello davanti a un’opera d’arte ci aiuta anche a comprendere cosa accade nello spettatore quando, per esempio, guarda uno spot televisivo», conclude Babiloni, «e può consentire alle aziende di costruire al meglio il loro messaggio pubblicitario».