
Non ci sono più i privilegi di una volta. ?Adesso piloti e assistenti di volo dell’Alitalia vanno a lavorare per compagnie straniere - 200 negli ultimi cinque anni - ma fino a quando l’azienda è rimasta in mani pubbliche pochissimi si sarebbero sognati di fare ?una simile sciocchezza, lasciando un datore di lavoro che, perennemente sotto ricatto sindacale, non badava a spese per i suoi equipaggi.
UN GIORNO DA 33 ORE
Quando è in ballo Alitalia, la legge non è mai uguale per tutti. È il caso dell’incredibile delibera emanata nel 2006 dall’Enac in materia di riposo del personale di volo (pensata per l’allora compagnia di bandiera venne poi necessariamente estesa a tutte quelle italiane). Ebbene, se per tutto il mondo un giorno è composto da 24 ore, per hostess e piloti il turno di riposo doveva comprendere due notti o allungarsi fino a 33 ore. Non basta. I dipendenti dell’allora compagnia pubblica non potevano volare più di 100 ore ogni 28 giorni. Il calcolo, se fatto su un intero anno, porterebbe a 1.200 ore. Invece, in base a una logica imperscrutabile, la regola fissava il limite a 900 ore. Questo almeno per chi era impegnato su un volo di lungo raggio, perché se il tragitto era più breve l’asticella si abbassava a 85 ore al mese, che nel trimestre si trasformavano in 240 (e non in 255), e nell’anno in 900 (e non in 1.020).
STAKANOV ALLA CLOCHE
Nel 1995 i piloti dell’Alitalia volavano in media 40 ore al mese. Calcolatrice alla mano, sono cinque giorni di lavoro ogni 30. Per una paga quotidiana di 2,6 milioni di lire. Con il passare degli anni la produttività è aumentata, ma prima della privatizzazione il livello restava comunque più basso rispetto ai concorrenti europei. Nel 2005, secondo i calcoli dell’Associazione europea dei vettori aerei, i piloti Alitalia volavano 580 ore a testa, cioé 90 minuti al giorno: il tempo di una partita di calcio. Non che nelle altre grandi compagnie si rompessero la schiena, ma un po’ di più lavoravano: 628 ore all’Air France, 644 all’Iberia, 674 alla Lufthansa.
ALITALIA ÜBER ALLES
Nonostante i ritmi blandi, sugli stipendi l’Alitalia non ha mai lesinato. Nel 2005, un pilota con 10 anni di anzianità professionale portava a casa 10.250 euro lordi al mese: 3.500 euro in più rispetto a un parigrado di AirOne. Stessa sproporzione per gli assistenti di volo. Lo stipendio di una hostess della ex compagnia di bandiera con 7 anni di anzianità era di 3.400 euro: 1.200 euro più della collega di AirOne. Risultato? Alitalia spendeva 350,8 euro per ogni ora di volo; AirOne 207,1. Anche il personale delle altre grandi compagnie europee, da Air France a Lufthansa, intascava ricchi stipendi. Peccato che, secondo la Association of European Airlines, il tasso di efficienza in Alitalia fosse ridotto al lumicino: poco più della metà rispetto alla tedesca Lufthansa.
AUTISTI, INDENNITÀ E TOPOLINO
All’epoca di Giancarlo Cimoli, amministratore delegato di Alitalia dal 2004 al 2006, hostess e piloti ottennero un benefit in più: l’autista per portarli al lavoro. Altrimenti, venne incredibilmente spiegato, rischiano di arrivare tardi. D’altronde quelli erano anni in cui, si racconta, nessuno lesinava auto blu ai manager e qualcuno si era fatto mettere “Topolino” nella mazzetta dei giornali. Magari tornava utile negli spostamenti per raggiungere il punto d’imbarco, che concorrevano (sia pure solo per la metà del tempo) al calcolo delle ore di servizio. Così, chi abitava a Roma, ma iniziava il turno a Milano, una volta arrivato a destinazione aveva già totalizzato mezz’ora di lavoro. D’altra parte, per tanti anni l’esempio era venuto dall’alto. Lo stesso Cimoli, pur avendo lasciato l’azienda in braghe di tela, uscì con una liquidazione di 2,8 milioni di euro.