Il nodo del sacerdozio femminile. I ruoli che potrebbero essere dati da subito alle donne. I temi su cui il Pontefice dovrebbe intervenire secondo Suor Elisa Kidanè, missionaria comboniana

Suor Elisa Kidanè (sulla sinistra, senza velo) a Dakar nel 2010
«Continuano a dire che Maria è importante, mettendola su un piedistallo. Poi, però, non pongono la donna su un piano di uguaglianza con l’uomo». Suor Theresa Kane è un’ex presidente della “Leadership Conference of Women Religious”, l’associazione di suore americane che rappresenta l’80 per cento delle 52mila religiose degli Stati Uniti e che dal 2012 è sotto commissariamento da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede per via delle posizioni eterodosse assunte su temi come l’aborto, la famiglia, l’omosessualità. Nei Sacri Palazzi le bollano come “femministe”. Sono le sole?

A sentire Suor Elisa Kidanè, direttrice di Combonifem, il mensile delle missionarie comboniane, no: «Gesù era un femminista. Se la Chiesa volesse seguire il suo messaggio dovrebbe dare molto più spazio alle donne».
Suor Elisa è nata a Segheneiti, in Eritrea. Ed è appena tornata a Verona da una missione nel suo paese natale, di cui racconta i «piccoli ma profondi passi» mossi dal femminismo civile, nonostante la difesa di modelli patriarcali da parte delle chiese locali.

Papa Francesco ha ribadito che la porta del sacerdozio femminile è chiusa. Per lei andrebbe invece riaperta?
«Io penso che col tempo anche questo avverrà, nessuna legge biblica lo impedisce, ma insistere su questo punto rischia di diventare uno scudo per chi non vuole affrontare le problematiche concrete»

In che senso?
«Ci sono molti spazi che potrebbero essere dati alle donne senza toccare il nodo dell’ordinazione»

Ad esempio?
«I centri missionari diocesani sono diretti solo da preti. Nei seminari mancano donne insegnanti. Il responsabile delle suore nelle diocesi è sempre un prete. Gli esercizi spirituali sono tutti al maschile. Prima dell’elezione di Francesco scrissi una lettera al futuro Papa in cui proponevo: “Perché non ti fai aiutare da una donna a scrivere un’enciclica?”»

Molti sostengono che questi temi non siano una priorità per la Chiesa, che deve tornare a occuparsi degli ultimi.
«Bene: gli ultimi siamo ancora noi donne. Qui non si tratta di priorità, quanto di adesione al messaggio evangelico. Oltre che di pensare al futuro: come ha scritto Matteo Armando ne “La fuga delle quarantenni” se la Chiesa non si affretta a tenerci in considerazione rischia di ritrovarsi vuota alla domenica. Sono le madri a trasmettere la fede alle nuove generazioni»

Quali risposte dovrebbero arrivare secondo lei dal Sinodo della Famiglia di ottobre?
«Noi comboniane ci battiamo perché vengano affrontati due temi: il primo è la violenza sulle donne, che avviene soprattutto tra le mura di casa. Facciamo la conta delle vittime ogni giorno: è ora che la Chiesa prenda finalmente una posizione chiara di condanna. Poi c’è il tema della prostituzione: si punta sempre e solo il dito contro le “meretrici”. Quando ci chiederemo chi sono i loro clienti uomini? I loro sfruttatori?»