Sarcone e Alfonso Diletto, a capo della cosca colpita dall'indagine che ha portato a 117 arresti non avevano gradito l'inchiesta del nostro giornale. Vi si svelavano i contatti politici  e i tentativi di influenzare elezioni amministrative da parte degli affiliati al gruppo criminale in vari comuni emiliani

«Vedi di prendere questi soldi e andiamocene». Nicolino Sarcone è molto agitato dopo l'inchiesta de “l'Espresso” del febbraio 2012 su Brescello diventato il feudo del clan Grande Aracri. Proprio la 'ndrina colpita nell'ultima inchiesta antimafia della procura di Bologna. Il reportage ripreso da Telereggio manda su tutte le furie Sarcone e Alfonso Diletto, entrambi ritenuti a capo della cosca emiliana. Non solo, l'inchiesta giornalistica dà il via a una serie di conversazioni utili alle indagini.

Diletto infatti preoccupato dalle notizie riprese da tutti i giornali locali svela il suo contatto politico: un consigliere comunale, Maurizio Dell'Aglio, eletto nella lista Forza Brescello, la stessa in cui era candidata la figlia Jessica Diletto. E anche di questo aspetto parlavamo nell'articolo.

«Prendi la Gazzetta di Reggio Emilia, perché mi stanno tartassando, anche a mia figlia per quella lista lì». Allora Dell'Aglio risponde:«Ho letto l'articolo che c'era ieri su “l'Espresso”...tirano in ballo la lista però io mica ho fatto niente di male, nessuno ha fatto niente di male...c'è una lista e basta fanno nomi e cognomi, che non è molto bello, andesso voglio fare sentire anche al maresciallo cosa dice».

E Diletto non contento insiste: «Ma il maresciallo di Brescello che cazzo vuoi che dice...ti do il numero dell'avvocato e ci chiami che sta preparando una diffida così la firma mia figlia e poi magari...».

E infine: «Loro vogliono far capire come quando che abbiamo preso i voti dalla 'ndrangheta. Dove sono i voti qua della 'ndrangheta?». La risposta del politico è eloquente, dicono gli inquirenti: «Abbiamo preso l'8 per cento capirai, come se sulle altre liste non ci fosse stato nessuno magari con dei problemi». I dialoghi proseguono sull'asse Emilia- Calabria. Poi Dell'Aglio sembra propendere per una soluzione: dimettersi per lasciare il posto alla figlia del capo clan. Ma quest'ultimo non è d'accordo, perché così avrebbe alimentato ulteriori sospetti. Ma per i Carabinieri che ascoltano l'ultima telefonata è quella più significativa: «Dall'Aglio ascoltami. Allora guarda che sei venuto tu da me, tu da me per fare la lista e allora? Non è che tu adesso dai le dimissioni e mi metti come se questa lista l'ho fatta io.

Questi fatti, secondo gli investigatori, «costituiscono ulteriore elemento di prova che l'organizzazione cercava di procurare voti a sé o ad altri in occasione delle competizioni elettorali».