Nel suo intento di riforma della Chiesa, Francesco si trova di fronte le opposizioni interne. Con uomini legati a Bertone, ?Ruini e Sodano che lottano per la gestione dei tesori vaticani

Il Papa non è un uomo solo. Ma se c’è un’evidenza nello scandalo provocato dal cosiddetto VatiLeaks 2, ossia la pubblicazione di documenti riservati che raccontano la ricchezza e gli sprechi della Santa Sede (sono l’autore del libro “Avarizia”, al centro dell’inchiesta per fuga di notizie della gendarmeria d’Oltretevere), è che i nemici di Francesco sono molto più forti e numerosi di quanto finora si credesse.

La curia romana non segue affatto i dettami di Bergoglio come la propaganda vaticana aveva narrato, mentre le carte pubblicate dimostrano che le riforme economiche e la trasparenza finanziaria volute dal successore di Pietro hanno trovato resistenze di ogni tipo. Non solo tra la vecchia guardia che non vuole abdicare rinunciando a potere e prebende, ma anche tra gli uomini nuovi portati a Roma dallo stesso Francesco.
Il libro
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Inoltre la guerra per bande delle porpore, marchio di fabbrica del pontificato di Benedetto XVI, non s’è mai davvero conclusa. Anzi. Se la «Chiesa povera e per i poveri» voluta da Bergoglio ha gettato nel panico chi, in curia, vive «come un faraone», e se le aperture progressiste sulla dottrina gli hanno inimicato gli stessi tradizionalisti che l’avevano innalzato sul soglio petrino, in questi due anni e mezzo di pontificato cardinali e monsignori hanno continuato a litigare furiosamente sulla gestione della cassa. Ingaggiando battaglie senza esclusione di colpi per il controllo del tesoro, conflitti che hanno portato a rancori profondi e sospetti incrociati, tradimenti improvvisi e voltafaccia.

In un clima di tutti contro tutti in cui si sono distinti i seguaci di Tarcisio Bertone e quelli di Camillo Ruini, gli uomini del cerchio magico di Francesco e quello che resta dei “piemontesi”, il gruppetto capeggiato dall’ex segretario di Stato Angelo Sodano. Al netto dei complottisti che disegnano Spectre internazionali che attentano al pontificato, la causa principale dello scompiglio di questi ultimi giorni va cercata all’interno del caos (o «inquietudine», come ha detto il papa a Firenze) che le novità di Francesco ha scatenato all’ombra del Cupolone.

IL CONTROLLO DELLA CASSA
Andiamo con ordine, partendo - come sempre - dallo Ior. La banca che inizialmente il papa aveva pensato di chiudere, e che è tornata ad essere epicentro degli scontri tra cardinali. Dopo aver fatto a pezzi la vecchia catena di controllo legata a Bertone (l’ex numero uno Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli sono entrambi imputati a Roma per violazione delle norme anti-riciclaggio), i novatori chiamati dal pontefice argentino hanno deciso di eliminare anche il direttore che aveva iniziato a fare pulizie, il tedesco Ernst von Freyberg.
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Nonostante fosse stato proprio lui il primo a chiamare i consulenti americani della Promontory per spulciare i conti sospetti e dare il via al processo di trasparenza per uniformare le regole vaticane a quelle europee. È il nuovo prelato dello Ior, monsignor Battista Ricca (di lui Bergoglio si fida ciecamente nonostante i dossier imbarazzanti che girano sul suo passato) ad addossargli formalmente durissime critiche (su un prestito da 15 milioni di euro che nel 2011 lo Ior aveva concesso al produttore della Lux Vide Ettore Bernabei, su alcune speculazioni immobiliari a Budapest e su investimenti sballati da centinaia di milioni) attraverso una lettera di fuoco, anticipo della successiva lettera di licenziamento.

Von Freyberg, in realtà, non aveva responsabilità dirette: era stato lui stesso a sottolineare le problematicità e alcune operazioni borderline della vecchia gestione, tanto da denunciare lui stesso al promotore di giustizia vaticano alcune strane speculazioni immobiliari condotte dall’ex presidente Angelo Caloia, un anno fa finito in un’inchiesta per peculato di cui non s’è saputo più nulla.

Per Ricca, però, era arrivato il tempo di cambiare. Von Freyberg paga anche l’inimicizia del cardinale George Pell (nominato dal papa prefetto della nuova Segreteria dell’Economia, il nuovo superdicastero che avrebbe dovuto mettere ordine nelle finanze vaticane) e dei suoi uomini più fidati, il finanziere maltese Joseph Zahra e il francese Jean-Baptiste de Franssu (il primo ex capo della Cosea oggi membro del Consiglio dell’Economia e il secondo nominato a luglio 2014 successore di Von Freyberg al Torrione) che vogliono prendere le redini del comando, senza mediazioni.

Gli uomini di Francesco non vanno per il sottile e fanno fuori anche i membri del direttorio dell’Aif, l’autorità di informazione finanziaria voluta da Benedetto XVI nel 2010. La loro colpa? Essere, da un lato, troppo vicini al cardinale Attilio Nicora, l’ex presidente dimessosi a inizio 2014 dopo aver firmato l’accordo con la Banca d’Italia per una nuova era di collaborazione e trasparenza tra Italia e Santa Sede e, dall’altro, troppo critici nei confronti della gestione di René Bruelhart, l’avvocato svizzero promosso nuovo capo dell’Aif dopo la cacciata di Nicora: in una lettera inviata al segretario di Stato Pietro Parolin agli inizi del 2014 e pubblicata dal “Messaggero”, i giuristi attaccano senza se e senza ma il loro referente, spiegando che il consiglio è stato «progressivamente posto nelle condizioni di non svolgere il proprio ruolo, visto che è stato tenuto all’oscuro di quasi tutta l’attività» dell’agenzia, incapaci di capire - di fatto - se il processo di rinnovamento e moralizzazione cominciato anni prima corresse spedito oppure no.

ASSALTO ALLO IOR
Lo scontro per il controllo dello Ior è all’ultimo sangue, ma il conflitto si allarga rapidamente all’intera gestione del patrimonio miliardario del Vaticano. Pell tenta infatti di svuotare non solo i poteri dell’Apsa, l’ente che gestisce gli immobili e i beni finanziari della Santa Sede guidato da uno degli ultimi bertoniani di ferro come Domenico Calcagno, ma entra in rotta di collisione perfino con la segreteria di Stato guidata da Pietro Parolin.

Che non vuole perdere il controllo di alcuni fondi e conti importanti, in primis i quasi 400 milioni dell’Obolo di San Pietro, beneficenza gestita dalla prima sezione del dicastero. «Abbiamo scoperto che la situazione è molto più sana di quanto sembrasse, perché alcune centinaia di milioni di euro sono nascosti in particolari conti settoriali e non apparivano nei fogli di bilancio», raccontò urbi et orbi il “ranger” australiano, gettando nel panico sia Parolin, geloso della sua indipendenza, sia il portavoce della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi, costretto il giorno dopo a smentire l’esistenza «di fondi illegali, illeciti o male amministrati: sono solo fondi che non risultavano nei bilanci ufficiali della Santa Sede o dello Stato della Città del Vaticano».

La strategia di Pell, però, fallisce: tirato in ballo da un’inchiesta del governo di Canberra sulla pedofilia del clero del continente e pizzicato su “l’Espresso” per alcune spese pazze del suo neonato dicastero, il papa lo scorso maggio ha deciso che la Segreteria dell’Economia avrà molti meno poteri di quanto inizialmente previsto. Gli statuti pubblicati prima dell’estate l’hanno trasformata in un organo di controllo finanziario, più che di gestione. I veleni, però, continuano a infettare la curia.

Se Calcagno manda una missiva al Santo Padre lamentandosi della prepotenza del collega, ottenendo da Francesco che l’immenso patrimonio immobiliare resti sotto il controllo della “sua” Apsa, anche il “papa rossoFernando Filoni, prefetto della ricchissima Propaganda Fide, resiste strenuamente alle ambizioni di Pell, che tenta di mettere le mani sugli oltre 500 appartamenti gestiti dall’ente. Anche De Franssu comincia a duellare senza guantoni, prendendosela direttamente con il cardinale Giuseppe Versaldi.

Il motivo è sempre lo stesso: il vil denaro. Versaldi, altro bertoniano rimasto in sella, aveva ottenuto dall’ex numero uno della banca von Freyberg la promessa di un prestito da 50 milioni di euro per comprare l’ospedale Idi, nosocomio vicino al fallimento che rischiava di finire in mano ai privati. Ma il nuovo presidente non è d’accordo, e rifiuta, scrivendo in una lettera che i soldi a suo parere «non sarebbero spesi secondo la prudenza del buon padre di famiglia». Letta la missiva, a Versaldi quasi viene un infarto.

Alla fine il cardinale riesce ad ottenere comunque il denaro, grazie all’aiuto di altri colleghi. In primis del neo camerlengo Jean-Louis Tauran e del segretario di Stato Parolin. «C’è uno che fa tutto e gli altri no... siamo in una fase di sovietizzazione», afferma Tauran il 12 settembre 2014 incontrando cardinali e monsignori durante una riunione della commissione cardinalizia dell’Apsa di cui “l’Espresso” ha letto i verbali. «A mio parere è pericoloso che la segreteria (di Pell, ndr) prenda in mano tutto, così l’Apsa non ha più senso», aggiunge il cardinale Giovanni Battista Re. «Per colpa di Pell siamo di fronte all’ennesimo pasticcio vaticano», chiude Nicora a fine riunione.

W LA CHIESA INQUIETA
Con il passare dei mesi il clima si fa sempre più pesante. Le ostilità delle fazioni per la gestione del potere e del governo della curia non cessano. Tra gli scontenti c’è anche monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda, ex segretario della Cosea arrestato per lo scandalo VatiLeaks, che non viene nominato - nonostante gli annunci informali - all’interno della nuova Segreteria dell’economia; gli “epurati” eccellenti allontanati dalle poltrone che contano, come Mauro Piacenza e Raymond Burke; alcuni cardinali della Conferenza episcopale italiana, in primis Ruini e Re, che vedono spodestati i loro candidati a importanti sedi vescovili (come Bologna e Palermo) da preti di strada scelti direttamente da Francesco.

Il panorama degli eserciti in campo diventa ancor più complesso e frastagliato durante i mesi che preludono le conclusioni del sinodo sulla famiglia: uomini scelti dal papa come Pell e cardinali che ne hanno sponsorizzato l’elezione al conclave come l’arcivescovo di New York Timothy Dolan fanno muro contro le aperture progressiste ventilate dai teologi vicini a Bergoglio. La comunione ai divorziati risposati o l’accettazione delle unioni, finanche civili, delle coppie omosessuali sono frontiere che secondo loro non vanno superate.

Lo showdown tocca il suo apice con la lettera al papa (pubblicata dal vaticanista del nostro settimanale, Sandro Magister) in cui una decina di cardinali tradizionalisti criticano ferocemente la gestione dei lavori sinodali. I “congiurati” spiegano che le conclusioni del dibattito rischiano di essere già decise dall’alto, e temono che l’assemblea avrà il solo compito di ratificarle. Non andrà così: le pressioni dei conservatori sono determinanti per una mediazione al ribasso, che di fatto consegna alla storia un sinodo assai meno rivoluzionario di quanto sperasse Bergoglio alla vigilia.

Ora la pubblicazione di “Avarizia” e di “Via Crucis” di Gianluigi Nuzzi ha aperto un nuovo fronte interno. Al di là dell’inchiesta giudiziaria sui presunti corvi e le logiche rimostranze della Santa Sede che da sempre preferisce lavare i panni sporchi all’ombra delle mura leonine, la divulgazione di notizie e scandali sulla gestione delle finanze vaticane ha però reso più forte il fronte di coloro che le riforme di Francesco vogliono farle davvero. La battaglia continua.

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