Un migliaio di partecipanti si sono ritrovati in piazza san Babila. Novanta sigle dell’universo musulmano italiano e molte donne con figli. Per ribadire che la religione di Allah non è terrorismo e chiedere moschee riconosciute dove insegnare la pace

Hijab e passeggini. Cartelli e kefia. Nessuna bandiera, ma solo le pettorine delle associazioni che hanno promosso la manifestazione. Piazza San Babila a Milano è la piazza del coro «Not in my name» dei musulmani italiani che ad una settimana dalla carneficina di Parigi escono dal cono d’ombra e fanno sentire la loro voce da un palco improvvisato.

Un migliaia di persone si sono radunate, in contemporanea con la manifestazione nazionale di Roma, per testimoniare «una storia diversa, una religione che è amore è che vieta la violenza, in qualunque forma essa si manifesti».

[[ge:rep-locali:espresso:285620717]]Tante le ragazze, con il capo coperto da velo e striscioni con scritto «Il terrorismo non ha religione», «Io dico no alla violenza», «Non in mio nome», «#terrorism has no religion», «l’Islam è pace». E poi famiglie, giovani senegalesi e marocchini, migranti pachistani e tunisini fianco a fianco.

#Notinmyname
"Sono musulmano, non un terrorista"
21/11/2015
C’è il coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza, la onlus Partecipazione e spiritualità musulmana e i giovani musulmani d’Italia. Quasi cento sigle: dalle donne Musulmane d’Italia alle associazioni culturali  della Brianza, Piemonte, Liguria e Umbria.

«Questa violenza non ci appartiene, non potrà mai essere la nostra via, nemmeno quando si nasconde dietro la rivendicazione di giustizia e democrazia, nemmeno quando si maschera da risposta a un’altra barbarie» scandiscono gli organizzatori. Uno dopo l’altro si alternano per ribadire «No al terrorismo, Sì alle moschee».

Brahim Baya, portavoce dell’associazione Islamica delle Alpi ha dichiarato: «No ai seminatori di odio e no al terrorismo, noi musulmani siamo cittadini di questo Paese e dobbiamo essere rispettati. I musulmani sono le prime vittime dei criminali dell’Isis». 

«È venuta l’ora di riconoscere i musulmani italiani come cittadini a pieno titolo colmando le vergognose lacune nell’ambito di un diritto così fondamentale come quello di culto, abbiamo bisogno di moschee riconosciute e dignitose. È fondamentale il riconoscimento dei luoghi di preghiera. Ce ne sono 700, di cui 695 informali. Come possiamo istruire i nostri giovani ai valori dell’Islam in questo modo?» spiega Davide Piccardo, il giovane responsabile del Caim, coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza.

In città si contano 150 mila fedeli, tra la moschea di viale Jenner e quella di Segrate e poi un’infinità di magazzini e centri improvvisati e non autorizzati. Palazzo Marino lo scorso agosto aperto le buste del bando che assegna a Milano due nuove moschee mentre la maggioranza leghista al Pirellone vorrebbe un giro di vite con regole più stringenti. 

La comunità di fedeli italiani è stanca di intolleranza e speculazione politica e avverte il bisogno di far capire il vero Islam, anche tra le voci in piazza.

«Proprio di questo abbiamo parlato ieri dopo la preghiera del venerdì - racconta Youssef, 28 anni dal Marocco. Ora vive a Bergamo dove frequenta regolarmente la moschea – e abbiamo deciso di aprire le porte del nostro centro per far capire che il messaggio di Allah è un messaggio di pace. Solo in Italia dopo gli attentati di Parigi c'è stata questa reazione furiosa contro di noi. Siamo stanchi di essere considerati tutti terroristi. Ora c’è una rabbia diversa e soprattutto la voglia di cambiare questa immagine».

Anche Hani Ghanem, 25 anni dall’Egitto trapiantato a Cremona parla di un lavoro informale contro l’estremismo:«Impedire alla nostra comunità di aprire moschee è  uno sbaglio. Bisogna fare esattamente il contrario: da noi si impara la pace non il terrorismo. L’islam non c’entra nulla con questi estremisti e chi si fa indottrinare via Web non viene certo a pregare con noi».