Boulevard Richard Lenoir: l’indirizzo del commissario è a due passi dal Bataclan. La Parigi ?che amiamo è anche quella del nostro immaginario
La notte del massacro parigino sono rimasto incollato alla televisione, come tanti altri. Conoscendo bene la mappa di Parigi cercavo di capire dove si stessero svolgendo quegli avvenimenti, e calcolavo se nei pressi abitasse qualche amico, quanto quei luoghi fossero distanti dalla mia casa editrice, o dal ristorante dove vado abitualmente. Mi rassicuravo pensando che erano lontani, tutti sulla riva destra, mentre il mio personale universo parigino è sulla riva sinistra.
Questo non toglieva niente all’orrore e allo sgomento, ma era come sapere che tu non eri salito sull’aereo appena precipitato chissà dove. Né in quella notte si era ancora iniziato a pensare che forse questo sarebbe potuto accadere anche nelle nostre città. Tragedia era, e non chiedetevi per chi suona la campana: ma pur sempre tragedia altrui.
E tuttavia ho iniziato a provare un vago malessere quando mi son detto che quel nome, Bataclan, lo conoscevo. Finalmente mi sono ricordato: era infatti là che circa dieci anni fa era stato presentato un mio romanzo, con un bellissimo concerto di Gianni Coscia e Renato Sellani. Quindi era un posto dove ero stato e avrei potuto essere ancora. Poi - anzi, non poi, bensì quasi subito - ho riconosciuto l’indirizzo di Boulevard Richard Lenoir: era dove abitava il commissario Maigret!
Mi direte che non è lecito, di fronte a eventi così spaventosamente “reali”, fare entrare in scena l’immaginario. Eppure no, e questo spiega perché il massacro parigino abbia colpito il cuore di tutti, anche se tremendi massacri erano avvenuti in altre città del mondo. È che Parigi è la patria di moltissimi di noi proprio perché nella nostra memoria si fondono città reale e città immaginaria, come se entrambe ci appartenessero, o in entrambe avessimo vissuto.
C’è una Parigi tanto reale quanto il Café de Flore, quella, che so, di Enrico IV e di Ravaillac, della decapitazione di Luigi XVI, dell’attentato dell’Orsini a Napoleone III, o dell’entrata delle truppe del generale Leclerc nel 1944. Ma anche di questi fatti, diciamo la verità, ricordiamo più l’evento (cui non abbiamo partecipato) o la sua rappresentazione romanzesca e cinematografica?
Parigi liberata l’abbiamo vissuta sugli schermi con “Parigi brucia?” così come una Parigi più remota l’abbiamo vissuta vedendo “Les enfants du Paradis”, così come entrare di notte (realmente) in place de Vosges ci fa avvertire fremiti che avevamo provato solo su molti schermi, così come riviviamo l’universo di Edith Piaf, anche se non l’abbiamo mai conosciuta, e sappiamo tutto di rue Lepic perché ce l’ha raccontata Yves Montand.
È nella realtà che passeggiamo lungo la Senna soffermandoci davanti alle cassette dei bouquinistes, ma anche lì riviviamo tante passeggiate romantiche di cui abbiamo letto, e guardando da lontano Notre Dame non possiamo non pensare a Quasimodo e a Esmeralda. Appartiene alla nostra memoria la Parigi del duello dei moschettieri ai Carmelitani Scalzi, la Parigi delle cortigiane di Balzac, la Parigi di Lucien de Rubempré e di Rastignac, di Bel Ami, di Frédéric Moreau e Madame Arnoux, di Gavroche sulle barricate, di Swann e di Odette de Crécy.
La nostra Parigi “vera” è quella (ormai solo immaginata) della Montmartre ai tempi di Picasso e Modigliani, o di Maurice Chevalier, e mettiamoci pure “Un americano a Parigi” di Gershwin e la sua dolciastra eppure memorabile rivisitazione con Gene Kelly e Leslie Caron, e anche quella di Fantomas fuggiasco lungo le fogne e, appunto, del commissario Maigret - di cui abbiamo vissuto tutte le nebbie, tutti i bistrot, tutte le notti al Quai des Orfèvres.
Dobbiamo riconoscere che molte delle cose che abbiamo capito sulla vita e sulla società, sull’amore e sulla morte, ci sono state insegnate da questa Parigi immaginaria, fittizia e tuttavia realissima. E quindi è stata colpita casa nostra, una casa in cui abbiamo vissuto a lungo più che ai nostri indirizzi legali. Ma tutte queste memorie ci fanno tuttavia sperar bene, perché ancora “la Seine roule roule…”.