Giornali e tv sono pieni di scrittori, psicologi, filosofi interrogati sull’attualità. Ma gli intellettuali non sono oracoli con risposte su tutto
Tornano di attualità problemi di cui mi ero occupato, e proprio in questa Bustina, una decina di anni fa. Ma, se riprendo cose già dette, la colpa non è mia, è della difficoltà che abbiamo, in modo ricorrente, a dare risposte sensate a questioni che ci affannano.
La prima storia è quella del preside che non vuole fare il presepe nella sua scuola per rispettare la sensibilità di studenti di altre religioni. Faccio per intanto una premessa: mio padre, che non era credente, passava notti e notti a preparare un presepe fantastico, perché si sentiva legato a una tradizione. È bene negare ai ragazzi cristiani la partecipazione a questa tradizione?
Ci sono scuole multietniche? Bene non rimane che una bellissima soluzione: in un locale apposito a Natale si fa il presepe, e vanno a vederlo i ragazzi che vogliono - e forse anche un ragazzo musulmano potrebbe essere affascinato dalla nascita di quel Gesù di cui il Corano parla con molto rispetto. Poi, venuto il giorno giusto, in una festività musulmana, nello stesso locale si potrebbe mettere in scena una vicenda della vita di Maometto. E quando si celebra lo Yom Kippur, o altra festa ebraica, ecco una qualche ricostruzione ispirata a quella ricorrenza, con qualcuno che spiega che cosa significa. E infine ci saranno anche molti ragazzi cinesi e ci sarà da discutere con le famiglie cosa celebrare, dato che si tratta di un paese che non ha un’unica religione monoteistica.
I ragazzi potranno visitare questi ambienti oppure evitarli, ma se li visiteranno impareranno qualcosa sulla pluralità delle credenze religiose e sulla varietà delle culture. Con grande vantaggio per la loro educazione, visto che la scuola non insegna storia delle religioni.
Il secondo problema l’ho sentito ventilare in una trasmissione televisiva e mi compiacevo del “déjà vu”, perché una domanda del genere viene fuori a ogni occasione: perché di fronte al problema del terrorismo gli intellettuali tacciono?
Anzitutto la domanda si basa su una falsità: lasciamo pure perdere la Francia dove fior fior d’intellettuali si sono interrogati sui tragici eventi che hanno sconvolto il loro paese e sui modi con cui reagirvi; ma basta vedere un talk show italiano per trovare intellettuali che dicono la loro, anche troppo sovente, e basta sfogliare un giornale per leggere interventi di scrittori, filosofi, psicologi e così via. Quindi l’inquietudine che si nasconde sotto questa domanda non è “perché gli intellettuali non parlano?” bensì “perché non ci danno quelle risposte che i politici sono incapaci di dare?”
Curiosa pretesa feticistica, questa, come se gli intellettuali fossero degli oracoli e tutte le grandi risposte dovessero venire da loro. Chi ha mai detto che un grande poeta, un grande pensatore, un bravo narratore sappiano che pesci pigliare in una situazione in cui le menti più belle del mondo politico si dibattono tra risposte mutuamente contraddittorie? Ho scritto varie volte che un intellettuale può prevedere il futuro, e si pensi per esempio quale funzione profetica ha rivestito il “1984” di Orwell. Oppure, a cose avvenute, può riflettere su quanto è accaduto farci capire perché è accaduto e se era saggio che accadesse. Ma nel momento presente l’opinione dell’intellettuale vale tanto quella di qualsiasi altro individuo. Può dare voce alla costernazione, al dolore, alla indignazione, ma anche se suggerisse, per esempio, che non si devono bombardare le città siriane ma solo i pozzi di petrolio, la sua voce varrebbe tanto come quella di tanti politici che dicono la stessa cosa.
Ho ancora scritto tanto tempo fa che se un poeta si trova in un teatro che va a fuoco, non deve montare su una poltrona e declamare una poesia, ma deve telefonare ai pompieri, o dare una mano a chi cerca di fuggire. Questo pretendere dall’intellettuale la Risposta è un modo per non ammettere che gli altri, i capi di Stato e i politici in genere, o i militari, la risposta definitiva non ce l’hanno. Ci si appella così a una fantomatica figura di intellettuale come ci si appellerebbe a padre Pio.