La sentenza della Corte europea ha stabilito che, su richiesta di parte, Google debba 'deindicizzare' informazioni personali potenzialmente lesive. Ma la norma varrà solo per i Paesi Ue. Creando un'Internet a due dimensioni
Se in passato abbiamo sbagliato, anche commettendo un’infrazione, per la quale abbiamo pagato il nostro conto con la società, è giusto che quell’errore resti per sempre conoscibile da chiunque, contribuendo a evocare un'immagine di noi che non corrisponde alla nostra attuale identità?
Un diritto fondamentale dell’individuo, previsto dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea e recentemente ribadito dalla
Corte di giustizia europea e dal gruppo dei garanti per la privacy europei, è quello all’autodeterminazione della propria identità personale. Ovvero il principio che l’identità di un individuo non sia un elemento statico ed immutabile e che a ciascuno sia consentito di non vedersi all’esterno alterato o travisato in base a circostanze concrete ed univoche. Su questo paradigma concettuale è costruito quello che è definito appunto “
diritto all’oblio”.
Siamo abituati, da sempre, a pensare e creare strutture valoriali non contestualizzate: ovvero leggere sul social network di un amico che si è ubriacato sei anni fa non ci impedisce, anche se passato tanto tempo, di associare in maniera permanente il nostro amico all’alcool. Questo grande limite culturale appartiene ad un modo di ragionare dove la dimensione temporale ha il potere metafisico della catarsi , attraverso il meccanismo psicologico e biologico del dimenticare, e quello cultural-religioso del perdono.
Certo si potrebbero arricchire le informazioni in rete di meta-dati ed attenderci dei motori di ricerca e social-network più “intelligenti”, in grado di meglio contestualizzare temporalmente gli eventi, in modo da rendere più chiara la sequenza temporale: ma comunque la “permanenza” e la impossibilità di dimenticare, richiedono un passaggio fondamentale della società e dell’individuo, da una cultura dell’incoscienza (dimenticare/perdonare) ad una cultura della consapevolezza (conoscere/contestualizzare).
In attesa che un tale lungo e complicato processo possa verificarsi, il legislatore, con il diritto all’oblio, ha legiferato formalizzando il principio del dimenticare: la sentenza della
Corte di Giustizia Europea ha imposto ai motori di ricerca la de-indicizzazione delle informazioni,
su richiesta di parte, ritenute non più pertinenti o rilevanti per la società e l’informazione. Con non pochi e controversi effetti collaterali.
Secondo alcuni, come Jimmy Wales, padre di Wikipedia, il diritto all’oblio è in aperto contrasto con un altro diritto fondamentale, il diritto all’informazione: la sentenza della Corte è, secondo Wales, confusa e contraddittoria e riduce il diritto all’informazione.
Eppure la sentenza della Corte di Giustizia Europea, sul diritto all’oblio, tutt’altro che generica o imprecisa, ha definito in 100 punti di dettaglio tutti gli aspetti normativi,
escludendo dalla sua applicazione tutti coloro che hanno un ruolo nella vita pubblica e quindi, equilibrando il diritto all’informazione ed all’ ”interesse preponderante del pubblico ad avere accesso all’informazione” con il diritto del singolo che “l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico”.
Il diritto all’oblio ha scatenato un’altra problematica latente che attiene la rete, emersa anche dal documento finale del gruppo di esperti istituito da Google per studiare la questione, pubblicato alcuni giorni fa, quella della
territorialità: mentre Corte di Giustizia e gruppo dei garanti europei ritengono che i dati debbano essere de-indicizzati a livello globale, per Google tale diritto va riconosciuto solo sulle estensioni europee del motore di ricerca.
In sostanza Google rimuoverà i link solo sulle estensioni .it, .es, .uk, etc… del motore di ricerca, mentre tali link resteranno accessibili su Google.com ed altre estensioni extraeuropee.
D’altra parte l’inconsistenza dei principi giuridici attuali, inapplicabili ad una realtà sovrannazionale ed extraterritoriale, fanno sì che la rete internet appaia più come un “far west” ove vige la legge del più forte o dello sceriffo locale. Vale la legge del paese di chi gestisce o custodisce i dati, o la legge dello stato dove il cittadino vive ed ha accettato il compromesso sociale con le sue regole e culture?
Su questo tema, un punto di riferimento si riscontra nei principi elaborati da varie Corti, in materia di giurisdizione e di competenza nella rete Internet, trovatesi più volte dinnanzi all'esigenza di apprestare tutela giudiziaria a casi di lesioni e di danni.
Inizialmente è stato affermato che l’elemento determinante per individuare la giurisdizione è il luogo in cui è collocato il pc dal quale l'utente accede alla Rete. Tale soluzione tuttavia si presta all'arbitrio del criminale e/o del danneggiante che, di volta in volta, può scegliersi il giudice competente.
Una soluzione equa, invece, è stata individuata in quella che indica competente il foro in cui la vittima e/o il danneggiato ha la propria sede, la propria residenza o il proprio domicilio. In tal modo la causa viene incardinata dove si avverte concretamente il danno evitando aggravi di spese per la parte offesa.
Tale principio, ineccepibile in punto di giustizia, presenta non poche criticità in ambito applicativo soprattutto in merito all'esecuzione delle sentenze dei giudici nei Paesi ExtraUE.
In materia di diritto all'oblio, la Corte di Giustizia nella sentenza “Costeja” sul diritto all’oblio, ha affrontato in modo chiaro l'aspetto della giurisdizione e della competenza territoriale: in definitiva, secondo il criterio sopra indicato, Google Inc. si trova stabilito in ogni Stato in cui esiste una propria succursale dedita alla vendita di pubblicità e in quanto tale rimane sottoposto alla disciplina e al Giudice del Paese cui appartiene la vittima/danneggiato.
Nei Paesi UE Google ha l'obbligo di rispettare il diritto all'oblio secondo questo principio.
Nei Paesi ExtraUE e negli USA in cui non esiste l'applicazione del diritto all'oblio così rigorosa, Google è svincolata dal dovere inflitto dalla Data Protection UE. Infatti, nonostante le Linee Guida dei Garanti UE raccomandino l'applicazione planetaria del diritto all'oblio ( anche ai domini ".com"), Google nel proprio Rapporto dichiara che rispetterà la Data Protection eseguendo il de-listing solo per l'area europea ma non eseguirà la deindicizzazione per l'area USA e comunque per tutti i domini ".com".
Se non interverrà un trattato internazionale sull'applicazione omogenea del diritto all'oblio, avremo una restrizione di tutela dell'interessato-cittadino europeo deindicizzato nei domini UE ma non deindicizzato nei domini ".com".
Un’Internet a due dimensioni dunque, dove si configura, questa volta in maniera palese, uno scontro tra culture e tra priorità politiche, sociali ed economiche molto distanti tra loro.
Fino a quando non saremo in grado di prescindere da una legge per definire l’immagine personale e sociale di ciascuno di noi, sulla base di principi e valori diversi da quelli attuali.
* Antonio Rossano è giornalista esperto di comunicazione, Deborah Bianchi è avvocato specializzato in diritto della rete