Vale la pena di leggere con attenzione l'editoriale di Claudio Cerasa sul “Foglio” di oggi, martedì 24. Perché si stacca dal chiacchiericcio di Palazzo per affrontare la grande questione politica dell'Europa in questo decennio: cioè la crisi dei partiti che che ne hanno costituito la democrazia dalla fine della Seconda guerra mondiale - generalmente divisi in centrodestra e centrosinistra - e l'affacciarsi di forze più recenti che in modo diverso si contrappongono a quel dualismo: Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, Le Pen in Francia, l'Ukip nel Regno Unito, il Movimento 5 Stelle in Italia.
Cerasa sostiene che queste forze politiche scelgono di «puntare più sul principio di piacere che di realtà», nonché sul «populismo» e su «un'identità costruita per vincere le elezioni e non per governare»; pertanto, «quando mettono piede nelle istituzioni non hanno alcuna carta per dare concretezza al marketing dell'outsiderismo»; quindi, secondo il direttore del “Foglio”, queste forze starebbero già schiantandosi con il principio di realtà e perdendo consensi.
Una tesi per sostenere la quale Cerasa mette insieme le difficoltà di Tsipras nel suo braccio di ferro con la Ue, il terzo posto raggiunto da Podemos in Andalusia, «l'ammaccamento» di Le Pen in Francia, i problemi di Farage in Gran Bretagna, i sondaggi italiani che vedono il M5S più in basso rispetto alle elezioni del 2013. Ne consegue, secondo Cerasa, che per tutti questi “outsideristi” la parabola volge già al termine.
L'interpretazione è interessante, tuttavia per capire se è fondata o no si deve partire proprio dalla realtà. Dai dati, non dagli annusamenti, dalle proprie speranze o dai "sentito dire”.
Iniziamo, come fa Cerasa, dalla Grecia. Dove socialisti e Nuova democrazia, i due partiti storici di centrodestra e di centrosinistra che si erano alternati per oltre mezzo secolo al governo, all'ultimo giro hanno preso insieme il 32,5 per cento, mentre a metà del 2012 avevano ottenuto (sempre assommati) il 41,9 e al giro precedente ancora (nel 2007) il 79,9. In sostanza, in meno di otto anni centrodestra e centrosinistra, in Grecia, sono passati dall'80 al 32 e mezzo per cento, lasciando sul campo 48 punti percentuali, che si sono tutti distribuisti tra gli “outsideristi” (Syriza, To Potami, Alba Dorata, Greci indipendenti). Nessuno dei sondaggi più recenti, nonostante le difficoltà di Tsipras nella trattativa con l'Europa, dà la somma dei due vecchi partiti di centrodestra e centrosinistra in recupero rispetto al record negativo delle ultime elezioni.
Passiamo alla Spagna. La tesi di Cerasa prende spunto da una consultazione regionale, quella in Andalusia, dove il Psoe ha vinto con il 35,4 per cento dei voti, seguito dai Popolari con il 26,8, da Podemos con il 14,8 e da Ciudadanos con il 9,4. Qui complessivamente i due partiti di centrodestra e di centrosinistra hanno quindi ottenuto il 62,6 per cento. Alle ultime elezioni regionali, nel 2012, il Psoe aveva avuto invece il 39,5 e i Popolari il 40,7, per un totale dell'80,2 per cento. In sostanza, i due partiti storici in Andalusia hanno perso quasi 18 punti percentuali in meno di tre anni: non esattamente un successo.
Se invece, restando in Spagna, si guardano i sondaggi a livello nazionale, l'ultimo (di “El Pais”) indica Podemos come primo partito al 22,5 per cento, secondo il Psoe con il 20,2, Pp terzo con il 18,6 e Ciudadanos quasi allo stesso livello, al 18,4. Insieme, Pp (al governo adesso) e Psoe (al governo prima) conquisterebbero quindi il 38,8 per cento: alle ultime elezioni generali, nel 2011, la loro somma faceva invece il 73,3. Se i sondaggi non sono completamente ubriachi, il bipartitismo spagnolo che governa dal 1978 ha perso quindi 34 punti in meno di cinque anni. Interessante, tra l'altro, la recentissima crescita di Ciudadanos, un “outsiderista” proprio come Podemos ma di impostazione liberista, che sembra mangiarsi una parte dell'elettorato del Pp proprio come Podemos sta insidiando quello del Psoe.
Ora andiamo in Francia. Domenica scorsa, alle amministrative, il partito di Marine Le Pen ha preso il 25,19 per cento, Sarkozy (insieme a Bayrou e altri centristi) il 29,4 mentre i socialisti e i loro alleati hanno raccolto il 21,8 dei voti. Complessivamente, centrodestra e centrosinistra hanno quindi ottenuto il 51,2; alle ultime elezioni generali francesi, al primo turno, i partiti che appoggiavano Hollande e quelli che appoggiavano Sarkozy avevano insieme l'81,44 per cento, quindi si sono persi per strada circa il 30 per cento dei voti. Ieri sera, a cena con un collega qui a Roma, il sociologo francese Marc Lazar diceva di aver sgranato gli occhi dallo stupore leggendo che i giornali italiani parlavano di una “battuta d'arresto” del Fronte Nazionale. In effetti basta leggere “Le Monde” di ieri pomeriggio per avere una lettura completamente diversa.
Quanto al Regno Unito, invece, la ripresa del dualismo centrodestra-centrosinistra sembra fondata: qui non ci sono state elezioni recenti quindi ci si deve basare sui sondaggi, che tuttavia danno i laburisti al 35 per cento, i conservatori al 29, quindi entrambi in ripresa rispetto alle ultime europee, mentre l'Ukip di Farage è attorno al 20, dopo aver preso il 27,4 alle consultazioni Ue.
Poi c'è l'Italia, su cui diamo qualche breve dato, prendendo l'andamento delle tre forze “non outsideriste”, cioè centrodestra, centro e centrosinistra. Nel 2008 Pdl, Pd e Udc avevano insieme il 76,18 per cento; nel 2013 Pdl, Pd e centro (Udc più Monti) hano invece preso, sempre insieme, il 57,55; alle ultime europee (quelle del trionfo di Renzi) Pd, Forza Italia, Ncd-Udc e Scelta Civica hanno preso insieme il 62,7, quindi riguadagnando 5 punti rispetto alle politiche dell'anno prima (comunque restando oltre 13 punti sotto rispetto al 2008). Ma attenzione: i voti assoluti presi alle europee da queste forze (maggioranza di governo più Forza Italia) sono stati 17 milioni e 200 mila, mentre alle precedenti europee erano 20 milioni e 800 mila, alle politiche del 2013 (l'anno in cui erano andate peggio di sempre, in termini percentuali) erano sopra i 19 milioni e mezzo (e a quelle del 2008 erano addirittura 27 milioni). Quindi centrodestra e centrosinistra, in termini di voti assoluti, sono anche in Italia in calo continuo e ininterrotto.
Inoltre, tornando alle percentuali, secondo la media degli ultimi sondaggi Datamedia, Swg, Ixè, Piepoli Euromedia ed Emg, al momento la somma di Pd, Forza Italia e Centro dà questo trio di nuovo sotto il 54 per cento, quindi 12 punti in meno rispetto al risultato delle europe, tre punti e mezzo sotto quello (già disastroso) del 2013 e addirittura 22 punti sotto quello del 2008.
Fin qui i dati, nei Paesi europei citati da Cerasa. Che indicano per quanto riguarda Grecia, Spagna, Francia e Italia un calo continuo di tutti i partiti storici di centrodestra e centrosinistra, mentre soltanto in Gran Bretagna la tendenza sembra essersi invertita.
In sostanza, le cifre indicano che – almeno per ora e con l'unica eccezione del Regno Unito – il ritorno dei partiti insidiati dagli outsideristi evocato da Cerasa è soltanto un suo “wishful thinking”: le forze politiche che in Europa, seppur in modo diversissimo tra loro, si contrappongono al vecchio dualismo centrodestra-centrosinistra sono invece in continua crescita, mentre a stare in pessime condizioni di salute è invece proprio la ripartizione classica che ha caratterizzato il Novecento, specie dalla fine della Seconda Guerra mondiale in poi.
Cerasa accomuna poi tutte queste forme di protesta in una generica definizione di “voto adolescenziale” e qui la questione diventa quasi ideologica: forse una lettura meno superficiale avrebbe bisogno di distinguere le ragioni del successo di questi diversi movimenti, di capire come ciascuno di essi è arrivato a erodere ampie fasce di elettorato alle due aree classiche, quindi di verificare sul campo anche la loro eventuale capacità, Paese per Paese, di rapportarsi al “perimetro della realtà”. Ad esempio, fa un po' sorridere il frettoloso giudizio su Syriza, al governo da meno di due mesi (!) e che finora ha dato tale prova di realismo da essere perfino contestato per questo: proprio il contrario di quanto dice Cerasa. Di Podemos probabilmente Cerasa non ha letto moltissimo, essendo quel partito caratterizzato proprio dall'estremo pragmatismo postideologico – ed è esattamente questo che lo distingue dalla vecchia sinistra spagnola e che sembra apprezzato dagli elettori locali; curioso poi che si sia ignorato come la vera minaccia alla crescita di Podemos non sia il bipartitismo moribondo, ma semmai l'affermarsi di un altro “newcomer” come Ciudadanos.
Quanto all'Italia, è vero che Renzi alle europee è riuscito a soddisfare almeno una parte quella sete del nuovo che un anno prima aveva terremotato il Parlamento, come ha spiegato bene Marco Damilano nel suo ultimo libro, ma anche qui attenzione alle distorsioni ottiche: il Pd si è mangiato tutta o quasi l'area delle larghe intese e ha trasformato il bipartitismo in monopartitismo, ma non ha invertito il calo complessivo delle forze tradizionali mentre la crisi del M5s (neanche mostruosa: meno 5 per cento rispetto al 2013 e stabile nei sondaggi attorno al 20) ha comunque coinciso con il boom di Salvini, che è un po' il Le Pen italiano. Insomma anche da noi il dualismo classico centrodestra-centrosinistra è tutt'altro che in buona salute e viaggia su consensi di molto inferiori rispetto al decennio scorso.
Ecco, il primo “principio di realtà” forse è proprio questo, cioè basarsi sui numeri e sulle tendenze in corso.
Quanto alle cause di questo trend, poi, il dibattito è vasto e approfondito: e va dalla crisi economica alla sempre minore distinguibilità programmatica fra centrodestra e centrosinistra, fino alla sottrazione di sovranità dalla politica verso i poteri non eletti (mercati, tecnocrazia Ue, Fmi etc). In generale, chi è interessato a capirne le origini per quanto riguarda l'Italia può leggere con profitto intellettuale il saggio del sociologo Emanuele Ferragina, “La maggioranza invisibile”.
Quanto al futuro, si vedrà: può darsi che, come scrive Stefano Folli su “Repubblica”, il Quantitative easing di Draghi e la ripresa economica alle viste ridiano fiato ai partiti tradizionali; o può darsi che un eventuale fallimento di Tsipras si ripercuota negativamente anche sugli altri “outsideristi”, a iniziare da Podemos (ma anche Le Pen).
Tuttavia tutto questo appartiene agli accadimenti futuri e alle loro conseguenze. I dati di realtà attuali, per ora, dicono quasi tutti il contrario di quanto sostiene “il Foglio”.
Attualità
24 marzo, 2015Gli ultimi risultati elettorali in Francia e in Spagna sono stati letti come una "buona prova" per le forze tradizionali di centrodestra e centrosinistra, insidiate dai vari Le Pen, Podemos etc. Ma i dati veri dimostrano il contrario. In quasi tutta Europa. E anche in Italia
Vecchi partiti contro "outsider": chi sta vincendo?
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