Si chiama Matrix List. È l’elenco segreto della Casa Bianca coi nomi degli estremisti da eliminare a qualunque costo. Compresi i due su cui sono stati lanciati i droni che hanno ucciso anche l’italiano Giovanni Lo Porto

obama-jpg
Si chiama Matrix List. Contiene nomi, contatti, area di operazioni, ruolo nelle organizzazioni terroristiche come al Qaeda, Stato Islamico, Shabaab, Haqqani Network, Aqap, Ansar al-Sharia. Sono tutti individui di cui il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ordinato la cattura. Ma se ciò non è possibile, appena individuati, vanno uccisi. Sulla Matrix List c’è il segreto totale ed è lo strumento che ha condotto l’America nella Permanent War ai terroristi, la guerra senza fine che sarà combattuta fino a quando nella lista ci saranno ancora nomi. Al National Counterterrorism Center (Nctc), l’ufficio strategico che ha sede dentro la Casa Bianca dicono in modo informale e senza dichiarazioni ufficiali che il conflitto potrà continuare per i prossimi 12-15 anni.

La Guerra Permanente è figlia naturale della politica di Obama e della sua critica alle «guerre stupide e avventate», prima tra tutte quella che il suo predecessore George W. Bush decise di fare in Iraq. Come tutte le guerre produce effetti tragici su persone che sono estranee ai conflitti: come è accaduto ai primi di gennaio a due ostaggi di Al Qaeda - il cooperante italiano Giovanni Lo Porto e l’americano Warren Weinstein, entrambi da anni prigionieri ai confini tra Pakistan e Afghanistan - uccisi dai missili lanciati da un drone e che avevano come obiettivo due terroristi presenti ai primi posti nella lista Matrix. E a coloro - uomini, donne, bambini - che si trovavano casualmente sul posto.

Il presidente Obama non è un pacifista figlio dei fiori, anche se molti interpretarono così il primo atto della sua presidenza, quando, il 21 gennaio 2009 convocò nell’Ufficio Ovale i capi militari, i consiglieri e l’ambasciatore Usa in Iraq. Finita la riunione, annunciò di aver ordinato l’inizio del ritiro delle truppe da quel Paese e la chiusura delle attività belliche per la fine del 2011. Mantenne con questo atto la promessa fatta il 14 luglio 2008 in campagna elettorale: «Il primo giorno alla Casa Bianca darò ai vertici militari una nuova missione: chiudere la guerra in Iraq». Stesso percorso ha seguito per l’Afghanistan, decidendo prima un importante incremento della presenza militare, poi il ritiro della maggior parte delle truppe e la fine delle azioni di combattimento.

Per capire quale sia l’atteggiamento del presidente verso la guerra bisogna leggere quello che disse il 2 ottobre 2002 quando era senatore dell’Illinois: «Non mi oppongo alla guerra in quanto tale, ma a quella stupida e avventata. Mi oppongo al tentativo cinico dei guerrieri da weekend di propagandare la loro agenda ideologica senza tenere in alcun conto il costo in termini di vite umane». Obama ha dunque un’idea della guerra come ultima scelta di fronte al precipitare di una crisi in cui l’America sia minacciata nei suoi interessi vitali e non vuol fare il Commander in Chief che dalla Casa Bianca tiene il conto dei caduti.

LO STRATEGA
C’è un uomo che per anni è stato accanto a Obama e ha costruito per lui la strategia e le strutture per la Guerra Permanente. È John Brennan, americano del New Jersey con antenati irlandesi, educazione dai gesuiti, una vita spesa a occuparsi di sicurezza compresi 25 anni nella Cia con incarichi da capo stazione in Medio Oriente a vice direttore. Oggi è il capo dell’ Agenzia (in precedenza il suo nome era stato avanzato per quel posto ma poi ritirato perché non è mai stato chiaro il suo ruolo nella vicenda delle torture a terroristi veri o presunti), ma dalla fine del 2008 al 2013 è stato l’ombra di Obama nella guerra al terrorismo: prima come consigliere, poi come capo del Nctc, un incarico che non prevede alcuna audizione né voto del Congresso per diventare operativo. Tra il presidente e il suo capo dell’antiterrorismo c’è stata una identità di vedute totale. A cominciare dalla riflessione sulla guerra. Barack Obama rifiuta i conflitti «stupidi e avventati» che costano in vite umane e miliardi dollari in spese supplementari per la difesa (quella in Iraq ha pesato sul bilancio per mille e 700 miliardi di dollari più altri 500 milioni per sostenere i veterani) e, soprattutto, non risolvono i problemi. Se poi questo tipo di guerre non sono sorrette dal consenso degli americani, creano problemi nei rapporti con Paesi tradizionalmente amici e alimentano nuove tensioni, il costo politico può diventare difficile da gestire. Ultimo elemento che ha fatto parte delle riflessioni di Obama: la guerra al terrorismo non può coinvolgere un’intera nazione e la sua popolazione, anche se questa non ha strutture statali funzionanti come per esempio la Somalia, o ha solo piccole porzioni del territorio sotto il controllo del governo, come in Yemen e nel Waziristan pakistano.

Inquadrato così il problema, è stato semplice imboccare la strada che ha portato all’utilizzo per la guerra alle organizzazioni modello al Qaeda di tre strumenti: l’intelligence, i droni e i reparti speciali. È stato un crescendo, a partire dal momento in cui Obama è entrato nell’Oval Office e ha trovato che, oltre alla guerra classica, l’amministrazione Bush aveva cominciato a usare i droni in modo continuativo per neutralizzare al Qaeda e i talebani in Afghanistan e in Pakistan. Naturalmente, né la Casa Bianca, né il Pentagono, né la Cia hanno mai diffuso dati ufficiali sulle missioni degli aerei armati di missili e guidati da luoghi remoti degli Stati Uniti e che entrano in azione contro un obiettivo umano solo quando il presidente degli Stati Uniti ha dato il suo assenso.

TUTTE LE AZIONI
Bisogna affidarsi allora al lavoro di The Bureau of Investigative Journalism, gruppo no profit con base a Londra, per avere la dimensione del fenomeno. I dati, anche se non omogenei, indicano una intensificazione dell’uso dei droni: fino al 28 gennaio scorso in Pakistan ci sono stati 413 bombardamenti con droni (362 dall’elezione di Obama) che hanno causato tra 2.442 e 3.942 vittime; in Yemen, fino al primo marzo 2015, ce ne sono stati tra i 90 e i 109 con molte centinaia di uccisi (tra 431 e 639); in Somalia, fino al 12 marzo 2014, si contano tra le 9 e le 13 missioni con oltre 20 vittime; in Afghanistan, dove dalla fine del 2014 dovrebbe essere terminata l’attività di combattimento da parte degli americani e della missione Isaf, ci sono state 5 azioni con 35-44 uccisi.

Che ci possano essere errori in questi numeri è assai probabile perché tutto ciò che circonda la Guerra Permanente è classificato segreto e la Casa Bianca decide di rivelare solo le azioni che hanno un impatto positivo sull’opinione pubblica: è il caso dell’operazione dei Navy Seal che ha portato all’uccisione di Osama Bin Laden o di azioni in Libia e Somalia che hanno messo fine alle attività di alcuni terroristi. È il caso anche del bombardamento che è costato la vita agli incolpevoli ostaggi Lo Porto e Weinstein.

Obama ha parlato solo una volta di questo approccio alla guerra al terrorismo, il 23 maggio 2013 alla National Defense University di Washington. «Siamo in guerra con una organizzazione che vuole uccidere più americani che può se noi non riusciamo a fermarla prima. È una guerra fatta in modo proporzionale alla minaccia e, in ultima analisi, di auto difesa». Obama conosceva tutte le obiezioni che vengono mosse all’uso massiccio dei droni: «Adesso che la nostra battaglia entra in una nuova fase, il richiamo all’auto difesa non può significare la fine di ogni discussione. Dire che una tattica militare è legittima e all’interno delle leggi, non è dire che è saggia o morale sotto ogni punto di vista».

Il presidente cercò di spiegare quali erano le linee guide della Guerra Permanente: i droni dovevano lanciare i loro missili solo se era sicura la presenza dell’obiettivo e che non ci sarebbero state vittime civili; non era possibile la cattura del terrorista; il governo del Paese di operazioni non era in grado o non voleva occuparsi di ridurre la minaccia terroristica; non esistevano alternative possibili all’intervento degli aerei armati e senza pilota. Voleva così rassicurare tutti coloro che nutrivano dubbi su quel tipo di operazione visto che con frequenza i missili uccidevano non solo i terroristi ma anche i loro parenti o persone che si trovavano sul luogo dell’attacco.

CONTRO LA LEGGE
Queste spiegazioni non hanno però fermato le critiche delle organizzazioni che si occupano di diritti civili, a cominciare da Human Right Watch e da American Civil Liberties Union (Aclu) che parlano di violazione delle leggi perché viene usata la forza letale al di fuori di quello che la legge internazionale stabilisce. In aggiunta, le associazioni umanitarie hanno sottolineato che l’uccisione di alcuni terroristi che erano cittadini americani ha violato le norme sulla pena di morte che può essere inflitta solo dopo la decisione di una giuria. Ma fino a oggi i ricorsi presentati in tribunale da Aclu che avevano come obiettivo la pubblicazioni dei pareri giuridici del Ministero della Giustizia, non sono stati accolti.

Questa guerra sarà senza fine? Vedremo crescere sempre di più strutture come il centro anti terrorismo della Casa Bianca, o l’uso dei droni? Saranno costruite altre basi, dopo quella di Gibuti che da avamposto dei marine si è trasformata nel centro strategico delle operazioni con droni in Medio Oriente e nella penisola arabica? Sicuramente questa strategia sarà seguita dagli Usa per molto tempo ancora. Anche dopo che Obama avrà lasciato la Casa Bianca.

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Ipnocrazia - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 4 aprile, è disponibile in edicola e in app