Una regione cassaforte di voti «rossi», due candidati per il centrosinistra e il rischio di combinare un disastro e consegnarla al centrodestra.
Le elezioni regionali di fine maggio e la battaglia per scegliere il futuro governatore della Liguria rovinano i sogni di gloria del premier Matteo Renzi, spinto (finora) dai successi del suo partito nelle ultime sfide elettorali.
Tanto da farlo sbottare con i suoi fedelissimi: «Dentro il Pd c’è chi sta lavorando per far perdere la candidata Raffaella Paita. Noi sosteniamo Felice Casson (senatore e civatiano, candidato a sindaco di Venezia) onestamente, impegnandoci in maniera trasparente. Loro, invece, preferiscono perdere una Regione e consegnarla a Forza Italia pur di far male al Pd. Altro che ditta, quando perdono scappano o mettono in campo un altro candidato».
Lo sfogo è contro un pezzo di sinistra-sinistra ligure che non ha accettato la vittoria alle primarie della renziana Raffaella Paita, attuale assessore alle Infrastrutture della giunta di Claudio Burlando e investita per la successione. Ecco la ricostruzione di quanto successo negli ultimi mesi.
L’ANTI PAITA DI SINISTRA-SINISTRA
Subito dopo le primarie di domenica 11 gennaio lo sfidante Sergio Cofferati denuncia la presenza ai seggi di stranieri, soprattutto cinesi e marocchini, oltre a quella di «riconosciuti esponenti del centrodestra», denunciando quello che ha definito «un inquinamento molto pesante non solo per i voti della destra ma con il voto organizzato di intere etnie».
Dopo lo choc, da Roma arriva la decisione di andare avanti con la Paita e si stoppano tutte le polemiche della tessera stracciata dell’ex leader Cgil Cofferati.
Ecco che scende in campo la Rete a Sinistra, in cui sono presenti Comunità di San Benedetto, Lista Doria, alcuni Pd civatiani, Arci, Rifondazione, pezzi di Cgil, movimenti e Sel, vale a dire la gran parte della sinistra radicale in Liguria.
Lo scopo è la guerra al Pd: trovare l’anti Paita. Spunta il nome di Paolo Putti, combattivo consigliere comunale di Genova. C’è un però: lui è grillino e per molti è fumo negli occhi. Così si puntano le speranze sull’ex sindaco Pci di La Spezia Giorgio Pagano, candidato di una schieramento civico e popolare al di fuori dei partiti.
Le divisioni tra tutte le sigle però non mancano e si decide di sostenere anche un altro nome: Luca Pastorino, deputato civatiano del Pd e sindaco di Bogliasco (in provincia di Genova), che ha lasciato ufficialmente il partito per candidarsi alle regionali liguri alla guida di un movimento di sinistra.
«Sono molto emozionato perché stiamo facendo un percorso innovativo e importante – ha detto Pastorino – ci mettiamo in discussione, facendo un passo indietro sulle nostre posizioni personali e uno avanti sulle idee che dobbiamo mettere in campo. Si tratta di un progetto nuovo, si tratta di fare qualcosa per la Liguria di alternativo all’amministrazione e alla politica degli ultimi anni». Non c’è però spazio per due candidati: per non avvitarsi ulteriormente, Pagano fa un passo indietro e lascia strada libera a Pastorino.
UN CRESCENDO DI ACCUSE
Con la sua discesa in campo inizia anche il fuoco amico, con Raffaella Paita in prima fila: «La sua candidatura ha il solo obiettivo di indebolire il Pd a cui andrebbe forse un pò più di riconoscenza visto che al Parlamento è arrivato proprio grazie al Pd». Lei si dice dispiaciuta per la scelta di Luca Pastorino di candidarsi lasciando i democratici perché avrebbe potuto partecipare alla primarie se voleva sfidarla a viso aperto.
«Questa è una grave scorrettezza al Pd più che alla Paita» ha aggiunto la candidata. «In un partito ci si confronta nelle primarie e c’è uno che vince e uno che perde e dopo tutti insieme si converge su un progetto unitario. L’esito delle primarie va rispettato anche quando non piace. Il balletto a cui abbiamo assistito in questi giorni nella sinistra radicale ha avuto tanto il sapore di giochetti di posizionamento».
Ad alzare il tiro a fine marzo è Alessandro Terrile, segretario democratico genovese: «Chi vota contro Paita si mette fuori dal partito. Nessuno vuole cacciare nessuno, non c’è niente di rivoluzionario, ma non si può sostenere un candidato diverso da quello ufficiale perché si pone un problema e ci si mette fuori dal partito».
Concetto messo per iscritto e inviato a tutti gli iscritti della città in cui si stabilisce che violano lo statuto del partito “gli elettori/elettrici, iscritti/iscritte che dichiarassero il loro consenso a candidati diversi da quello del partito».
A chi si candida a liste alternative del partito la sanzione è la cancellazione dall'anagrafe degli iscritti per l'anno in corso e quello seguente. Per le altre violazioni le sanzioni vanno dal richiamo scritto alla sospensione per un periodo da un mese a due anni fino alla cancellazione. Una chiamata a serrare i ranghi che suona come un campanello d’allarme.
Per questo Matteo Renzi in persona ha deciso che farà campagna elettorale insieme alla sua candidata. Per scongiurare la paura di perdere il controllo della regione Liguria e indebolire tutta la macchina del consenso. Dove c’è un unico risultato possibile: vincere a andare avanti.