Altri imprenditori dell'era Cuccia avevano già abbandonato. Da Orlando a Lucchini, da Pirelli-Tronchetti a Ligresti. Mentre gli eredi Agnelli si sono "americanizzati"

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Si chiamava il “salotto buono”. Ne facevano parte imprenditori italiani di primaria importanza portati per mano da Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca scomparso nel giugno del 2000. Ciascuno cercava aiuto dagli altri perchè non aveva sufficienti capitali per dominare e restare indipendente, così al banchiere più potente del Dopoguerra toccò inventare le “scatole cinesi”: attraverso partecipazioni incrociate, tutti i membri del salotto buono potevano stare tranquilli e gestire la propria azienda con un po' di soldi altrui, degli amici.

Un'invenzione geniale, molto italiana. Da questa settimana anche l'ultimo inquilino del “salotto buono” ha venduto e anche lui a stranieri. Giampiero Pesenti, presidente e principale azionista dell'Italmobiliare, figlio di Carlo e pronipote dei fondatori ha ceduto a sorpresa il controllo dell'Italcementi ai tedeschi della HeidelbergCement per 1,6 miliardi di euro. Una società, quella bergamasca, con una storia di oltre 150 anni, presente in tutto il mondo e quotata in Borsa dagli anni Venti, un fatturato di oltre 4 miliardi (ma debiti per oltre 2 miliardi), circa 18 mila dipendenti, un esempio di industria manifatturiera esplosa con il boom economico, ma che ha accusato negli ultimi anni i colpi della recessione mondiale. La famiglia può comunque dire di aver fatto un affare. L'Italmobiliare, secondo stime del “Sole 24 Ore”, dopo la vendita avrà in cassa tra 670 e 870 milioni di euro, mentre sempre al gruppo italiano farà capo tra il 4 e il 5 per cento del nuovo colosso del cemento.

Prima di Pesenti altri avevano seguito la stessa strada cedendo il controllo agli stranieri. Proprio pochi giorni fa è arrivato il via libera dell'Unione europea alla vendita della Pirelli alla China National Chemical Corp per 7,1 miliardi di euro. Marco Tronchetti Provera, genero di Leopoldo Pirelli, abbandona il campo incassando dai cinesi un bel po' di quattrini anche se resterà personalmente alla guida dell'azienda fino al 2021. Pirelli senior era stato tra i più fedeli seguaci delle operazioni di Mediobanca, così come lo fu la famiglia Orlando, sicula di origini ma fiorentina di sviluppo, che dopo aver creato uno dei più importanti gruppi del rame nel mondo attraverso acquisizioni in Francia, Spagna e soprattutto in Germania (Kme), entrò in crisi e venne rilevata dalla Intek di Vincenzo Manes (questa volta un italiano). E poi ancora.

Il bresciano Luigi Lucchini, già presidente della Confindustria, ha ceduto definitivamente il suo gruppo siderurgico nel 2010 ai russi della Severstal (l'acciaieria di Piombino è finita intanto agli algerini della Cevital). Salvatore Ligresti, in prima linea nel gioco delle “scatole cinesi”, è saltato per aria tra scandali e inchieste giudiziarie. Infine gli Agnelli. Così come il nonno Gianni si metteva nelle mani del banchiere di via Filodrammatici, il nipote Yaki Elkann lascia campo libero a Sergio Marchionne, che ha “americanizzato” la Fiat attraverso la fusione con la Chrysler e guarda all'Italia sempre con un certo sospetto. Gli Elkann mantengono il 30 per cento del capitale di Fca (il 46,6 per cento dei diritti di voto) grazie al trasferimento della sede sociale in Olanda e puntano a nuove alleanze.

E per restare ai simboli, un anno e mezzo fa è uscita da Piazza Affari la Gemina, una delle protagoniste del “salotto buono”, finanziaria che realizzò nel 1985 la scalata ostile alla Bi-Invest della famiglia Bonomi, venne coinvolta in tante operazioni finanziarie e di potere e che per tanti anni ebbe il controllo della Rcs e del Corriere della Sera. Attraverso Gemina tutti gli imprenditori amici di Mediobanca potevano dire la loro, pur avendo magari piccole quote. Finì a Cesare Romiti e famiglia come compensazione per l'uscita dalla Fiat, ma il business non durò a lungo. Negli ultimi anni era finita ai Benetton anche se Mediobanca conservava una partecipazione attorno al 10 per cento.

Insomma si mette la parola fine ai protagonisti di quell'epoca e ironia della sorte accade proprio mentre a Palazzo Chigi regna quel Matteo Renzi che in più occasioni ha criticato gli imprenditori dei “Salotti buoni” che non investono: meglio che le aziende finiscano agli stranieri e vengano ben gestite, è il suo verbo. Certo, la globalizzazione ha fatto piazza pulita di certi vezzi dell'imprenditoria italiana di un tempo, “capitalisti senza capitali”. La parola d'ordine “le azioni si pesano, non si contano”, tanto cara a Cuccia, nel 2015 non avrebbe più patria nel sistema capitalistico italiano. Ma, d'altro canto, la vendita all'estero di tutto questo patrimonio industriale è normale, inevitabile e irreversibile? Chissà cosa direbbe e soprattutto inventerebbe oggi il grande manovratore.