Esperto di crisi internazionali, il professore della Statale di Milano spiega perché la crisi greca è figlia di un'Europa in cui le questioni nazionali prevalgono su quelle europee e gli Stati restano assoluti protagonisti. Per cui maggiore sarà l'integrazione, maggiori saranno i contrasti
In questo momento di massima tensione tra Germania e Grecia abbiamo intervistato Alessandro Colombo, uno dei massimi esperti sulle crisi internazionali ed europee: è infatti professore di relazioni internazionali presso l'Università degli Studi di Milano e direttore del programma di sicurezza e studi strategici presso l'Istituto di Studi Politici Internazionali (ISPI).
La crisi greca evidenzia una grande distanza tra i paesi europei. A cosa è dovuta questa spaccatura?La spaccatura è dovuta dal fatto che, nonostante tutto, gli stati nazionali sono ancora i protagonisti. La crisi greca lo mostra in maniera evidente: le questioni nazionali sono prevalenti per tutte le parti in gioco ed è rispondendo a istanze nazionali che si determinano le gerarchie interne alla Ue. Inoltre vediamo la conferma che il processo di integrazione europea non può non avere una natura gerarchica, come d'altronde è sempre stato. Nonostante la Ue si ponga come il superamento della convivenza politica tradizionale la crisi greca mostra che al suo interno non esistono vantaggi assoluti ma vantaggi relativi come in ogni sistema competitivo. I benefici dei tedeschi non sono gli stessi dei greci, per questo la Germania risponde al proprio elettorato promuovendo politiche che non vanno nell'interesse della Grecia e vice versa.
Più l'integrazione europea aumenterà, maggiore sarà il peso della gerarchia. Volendo adottare per esempio una politica estera o di difesa comune è impensabile evitare che qualcuno comandi gli altri.
I greci hanno espresso la propria volontà tramite il referendum, che però non è negli interessi degli altri paesi europei, come Juncker ha sottolineato. E' concreto il rischio di deficit democratico? Più che di deficit democratico il referendum greco ha dato ulteriore conferma che nelle democrazie prevalgono i legami di carattere nazionale. Non esiste nessun fantomatico elettorato europeo. Ogni elezione in qualsiasi paese d'Europa è caratterizzata da questioni nazionali in cui i cittadini prendono delle decisioni che rispondono ai propri interessi, che mostrano la mancanza del senso di rappresentanza nelle istituzioni comunitarie. Vediamo quindi un conflitto tra identità europea e identità nazionali. E' evidente che dietro la retorica della cittadinanza europea non ci sia una vera identificazione da parte dei cittadini.
L'Europa viene spesso identificata nella Germania, che sta all'apice delle gerarchie comunitarie. Ciò nonostante Angela Merkel sta incontrando grosse difficoltà con i propri partner europei durante le trattative con la Grecia. Come mai?La Germania è sicuramente il paese più forte ma non è egemonico, nel senso che non traduce il proprio potere economico in un ruolo di guida politica. Per ovvie ragioni storiche ha anzi il terrore di poter essere percepita come dominante. Nella cultura politica tedesca c'è una assoluta indisponibilità a giocare questo ruolo. Ogni volta che le viene chiesto di prendersi maggiori responsabilità la sua leadership sarebbe pronta a farlo, ma l'opinione pubblica dice chiaramente di no. Dato che le questioni nazionali prevalgono su quelle europee Berlino non ha mai creato un'egemonia.
Con una Germania egemonica sarebbe stato dunque più facile risolvere la crisi greca, anche negli interessi dei greci stessi?Sia la crisi greca che quella ucraina lo hanno mostrato con chiarezza: la Germania è leader e non ha margini di scelta. Per risolvere questioni internazionali così delicate è inevitabile che giochi un ruolo importante. Quello che la crisi della Grecia ci sta confermando è che Germania e Francia tendono a riunirsi per i fatti loro per dirimere le questioni. E' una facciata che Berlino utilizza per non giocare apparentemente il ruolo di leader. Facendosi accompagnare dalla Francia promuove un'idea di Europa non identificata solo con se stessa, scrollandosi così di dosso tante accuse pesanti.
Quanto pesa la questione dell'identificazione in un'Europa di stampo tedesco nella crisi greca?E' una questione marginale, che non ha un peso particolare. Ha semmai valore per le logiche interne alla Germania. I tedeschi sono usciti dalla Seconda Guerra mondiale con una totale indisponibilità a parlare di identità e vedono la Ue come una soluzione a ciò, nel senso che sperano di superare i drammi della propria storia dissolvendo l'identità tedesca in quella europea. Per i greci non è così. L'esito del referendum non è motivato da questioni ideologiche, ma è strettamente legato alla competizione economica tra i due paesi.
In Grecia la sinistra ha messo da parte l'internazionalismo per parlare di sovranità nazionale. Tsipras sostiene che i valori del popolo greco siano messi in pericolo da politiche che rischiano di cancellare l'identità nazionale greca. La sinistra è diventata più nazionalista della destra?Non è una prerogativa della sinistra greca, ma qualcosa che sta attraversando gran parte dell'Europa. Nella stessa Grecia posizioni simili a quelle di Tsipras sono adottate sia dalla sinistra che dai movimenti nazionalisti. Con ciò non mi riferisco solo ad Alba Dorata, ma anche e soprattutto all'Anel, che è un movimento nazionalista che si è staccato dalla Nuova Democrazia per appoggiare Syriza. La stessa ambivalenza avviene in Germania, dove in merito alle politiche di austerità non ci sono differenze tra la Cdu e la Spd. Anzi: negli ultimi giorni le posizioni più intransigenti a favore della linea del rigore sono arrivate dalla sinistra tedesca.