Il primo nome era ZanoT. E ora Tommaso Zanello ci scherza su: «Con quel nome», racconta all’Espresso, «ho fatto le prime cose per le radio romane, per Radio centro suono, facevo il dj e andava di moda l’inglesismo, che ci vuoi fare...». Poi, nell’inverno del 1993, diventa «Piotta», tutto merito di un paio di occhiali da John Lennon, tondi come una moneta, le vecchio cento lire, a Roma - appunto - «’na Piotta».
Non è più quello del Supercafone, Piotta, non è solo quello, almeno. «Sono uno splendido quarantenne», ammette sorridendo. Un quarantenne che si diverte a postare gattini sulla pagina di Matteo Salvini, che attraversa l’Italia con trenta date di tour, che teorizza «l’artigianato della musica»: «Perché non è vero che se non fai parte dell’”industria musicale”, senza talent e senza grandi etichette, non puoi suonare».
Un’estate in giro, con il tour e il nuovo album, Nemici. Nelle foto hai sempre il cappello con il logo dell’album, con il font che fa il verso a Maria De Filippi…
«Ma non è De Filippi il mio nemico, eh, intendiamoci. Se però i suoi sono “Amici”, “Nemici” sono gli artisti che con il proprio percorso artistico e umano rappresentano un modo di intendere la musica diametralmente opposto».
Opposto ai talent.
«Opposto all’idea di successo che questi raccontano, al mito dell’audience, con questa costante rappresentazione della musica come se fosse una lotta che deve finire per forza con uno sconfitto in lacrime e il vittorioso gaudente. Non è così: la musica è felicità, è condivisione, è amicizia. È anche mettersi insieme per uno scopo più alto, per raccontare un pregiudizio, una città».
Insomma, il mondo di Piotta è un altro, rispetto ad esempio a quello di Fedez: «Io non scriverei 'Generazione televoto coi cervelli sottovuoto' per poi fare il giudice ad X Factor», hai detto. Per Fedez c’è una frecciata nella tua Wot! (Capitano mio capitano)..
«Diciamo che è una cosa che non capisco. Perché non c’è stata neanche un’evoluzione che possa render comprensibile la contraddizione. Non sono passati anni, tra la canzone e il lavoro in tv. Fedez ha scritto quella canzone proprio mentre faceva il giudice. E per me o è bipolare o devo dire che io non capisco, che mi sfugge come sia possibile e che forse è così perché sono meno attento al lato economico».
Gratis, Fedez, ha scritto l’ultimo inno dei 5 stelle. Tu scriveresti per un partito politico?
«Tendenzialmente no, ma perché nessun partito mi ha mai convinto al 100 per cento. Intendiamoci: io ho un mio orientamento e sono sempre per andare a votare, bisogna sempre uscire di casa e mettersi in fila, fosse anche per un voto di protesta. Da qui a fare un inno però ce ne passa. Anche se io cantai al Vday di Beppe Grillo».
Deluso.
«Facemmo la sigla di quella manifestazione, nel 2008. Diciamo che non avevo capito - io come altri artisti - che con il secondo Vday stesse già nascendo il Movimento 5 stelle, si stesse trasformando in un partito vero e proprio»
Il nemico che nomini ad ogni concerto è comunque Matteo Salvini a cui dedichi un mash up di 'Clandestino', di Manu chao.
«Non bisogna mai rinunciare all’ironia. E a uno che soffia sulla rabbia e che dice cose inqualificabili è bene dedicare una canzone che spiega le cose come stanno. Salvini, poi, tollera poco l’ironia. Racconto sempre, scherzando, che mi ha anche censurato un gatto, qualche tempo fa. Ricordi il flash mob virtuale “Gattini su Salvini”? Io e il mio gatto avevamo avuto quasi 6mila like, e poi siamo spariti, cancellati, perché evidentemente sulla sua bacheca facebook Salvini tollera le peggiori atrocità, dai forni crematori in giù, nei commenti che non vengono praticamente mai censurati, ma non me e il mio gatto, spaparanzati sul divano».
Esporsi contro Salvini è facile, perché non credo che le tue canzoni passino spesso su Radio Padania. Più difficile, anche per alcuni tuoi colleghi, è farlo su altro...
«Questa sugli artisti che non si espongono è una domanda che mi fanno spesso. Io però, sinceramente, penso che non sia così: almeno non per quelli che frequento io. Caparezza, Lo Stato sociale, Elio Germano: che sia un video, un post, che sia un’intervista, che sia una canzone, ognuno interviene su ciò che sente giusto. Anche Fedez a suo modo, è uno che dice quello che pensa. Ed è importantissimo, perché dei pregiudizi, dei diritti civili, della legalizzazione delle droghe leggere, più se ne parla meglio è. Se c’è poi qualcuno che non si espone per paura di vendere meno dischi o di fare meno date lo rassicuro: non è così, non è per una tua posizione - sempre che non sia come quelle di Salvini - che non ascolterò il tuo disco, non mi aggiornerò sulla tua musica».
Con Elio Germano avete da poco registrato un video sui pregiudizi contro i rom…
«E sai che c’è chi si è convinto che le atrocità che dice nel video, Elio le pensi veramente? Non ci si crede ma l’ironia di Elio che si lancia nei pregiudizi più esasperati e io che gli replico con le notizie e i dati veri sui campi, non è arrivata a tutti. Ed è incredibile quanto la rete possa amplificare la superficialità con cui spesso leggiamo le cose, e come poi, solo per il gusto di condividere, magari con un commento sdegnato, si possa contribuire alla disinformazione».
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Con il Muro del canto, in questo disco, avete registrato I 7 vizi Capitale. Che città cantate?
«Rispetto alla città che ho cantato in passato, è una città più scura. Non a caso è scura la canzone, è scuro il video, è scuro in luogo in cui l’abbiamo girato, un’ex fabbrica abbandonata e occupata, che al momento ospita più di 400 opere d’arte, sottratta alla speculazione. Ed è scuro il Muro, con il timbro inconfondibile di Daniele. Nella Roma che cantiamo il vizio più diffuso è quello della rabbia. Una rabbia alimentata da alcuni politici, Salvini e non solo».
È un gran parlare di decoro, attori che invitano ad armarsi di ramazza, giornali che raccolgono segnalazioni e foto…
«Su questo ho avuto un discussione con i ragazzi di Retake, che vanno in giro armati di raschietti e pennelli per ridipingere muri scrostati e rimuovere i graffiti. A loro ho cercato di spiegare che il decoro della città è importante, la pulizia è importante, ma se il problema è un graffito che colora la città, magari su un sottopasso della Nomentana, si sta sbagliando. Quello non è atto vandalico, ma è arte che si esprime così. E molti artisti che vengono apprezzati nel mondo, nei musei o spesso commissionati dalle amministrazioni locali, anche dal comune di Roma, sono nati così, sui muri scrostati e sul cemento armato. Insomma, è logico che le tag sui segnali stradali non vanno fatte, ma il vero decoro per una grande città è sapere accogliere, dare speranza e possibilità. A me non interessa vivere in una cartolina di una città nordeuropea».
E forse, comunque, non è l’incuria la principale emergenza della città dove manca lavoro, mancano le case, i servizi...
«Certo, ma non è così per molte persone, anche per persone che frequentiamo. Ci sono argomenti perfetti per incanalare la rabbia, per sfogarsi. Se razionalmente ci pensi sai benissimo che Roma ha tante altre emergenze, ma prendersela con i Rom, che sono tra i meno amati, è più facile, e trovi sempre un Salvini pronto a darti ragione. Se leggi le statistiche vere ti rendi conto che è un problema che non sussiste, che va ridimensionato, ma è comodo fermarsi ai pregiudizi sparsi a piene mani».
Roma è cambiata, dal 1999, anno di Supercafone. E anche l’industria discografica. Come si vive, oggi?
«Nel mio caso si vive benissimo. Tutti mi chiedono “Ma come, c’è la crisi, tutto va male e tu invece vai meglio?». E io dico di sì, perché dal 2005 ho capito che la creatività si libera quando capisci che certi meccanismi che pensiamo necessari - l’immagine, gli sponsor, le presenza televisive - non lo sono per nulla. E allora io sono contento di essere un piccolo negozio e non un grande centro commerciale: apro e chiudo quando voglio, mi concentro sul rapporto con le persone, che sono comunque migliaia ai miei concerti ma che alla fine mi trovano allo stand dove vendiamo i dischi, per un autografo, per parlare un po’».
Si vive fuori dalla grande industria?
«Si vive facendo l’artigiano della musica, sì. Ci sono anche tanti gruppi emergenti che lo dimostrano. Cito sempre lo Stato sociale che con un’etichetta indipendente fa numeri da big, o i Kutso che quest’estate fanno 45 live e che sono arrivati a Sanremo con dischi autoprodotti. Loro sì sono “Nemici”, sono la dimostrazione che la musica non è solo talent, che si può avere successo perché si hanno buone idee e non se si hanno particolari disponibilità economiche e accordi con le grandi radio».