Napolitano si è distinto per l'interventismo. Il suo successore ha scelto la discrezione. Ma questo non significa che non eserciti a pieno il proprio potere

Al Quirinale abita un rebus, un enigma costituzionale. Che presidente è Sergio Mattarella? Qual è il timbro della sua presidenza? Impossibile chiederlo al diretto interessato, anche perché lui s'avvale della facoltà di non rispondere. I suoi silenzi ormai sono proverbiali, la sua sobrietà spinge i quirinalisti sull’orlo della disoccupazione. Se apre bocca, hai sempre l'impressione che stia parlando d'altro, rispetto ai temi su cui discetta la politica. Magari allude alla necessità delle riforme, ma a bassa voce, e senza entrare nei dettagli. Oppure consiglia ai ragazzi Dostoevskij, sicché in mancanza d'altro il consiglio presidenziale diventa subito uno scoop.

Insomma, parrebbe che sul Colle c'è una poltrona vuota. Però si tratta d'un abbaglio, alimentato soprattutto dal confronto con lo stile del suo predecessore: l'emerito e l'eremita, come titolò "l'Espresso" (3 agosto). Due uomini, più che diversi, opposti. L'uno, Napolitano, incarna la destra della sinistra (il Pci); l'altro, Mattarella, la sinistra della destra (la Dc). L'uno politico per scelta e per passione, l'altro politico per caso, dopo l'assassinio del fratello Piersanti. L'uno interventista, presenzialista, decisionista, fino a guadagnarsi l'appellativo di King George; l'altro appartato, re d'una monarchia senza la reggia.

Difatti Mattarella ha aperto il Quirinale, consentendo visite quotidiane nel palazzo. È vedovo, dunque non lo accompagna una regina; accadde pure a Scalfaro, che tuttavia trasformò la figlia Marianna in first miss, mentre la figlia di Mattarella (Laura) rimane sconosciuta agli italiani. Infine il nuovo presidente viaggia in treno, gira per Roma a bordo d’una Panda, monta su un tram per raggiungere Scandicci, su un volo di linea per rientrare a Palermo. E taglia le auto blu ai Grand Commis del Quirinale. In breve, Mattarella ha rinunciato alle insegne del potere. Significa che ha rinunciato pure al suo esercizio?

No, piuttosto ne ha cambiato le forme, senza essiccarne la sostanza. È il caso della moral suasion, il "potere invisibile" che a metà dell'Ottocento Walter Bagehot definiva l'essenza della monarchia britannica. Con Napolitano prese corpo attraverso un rosario di moniti, comunicati, lettere ufficiali al governo o al Parlamento. Richiami pubblici, destinati in realtà alla pubblica opinione.

Invece Mattarella ha eretto un monumento alla Dea della discrezione, sicché bisogna contentarsi di qualche indiscrezione. Chi ha stoppato, per esempio, l'idea governativa di un decreto legge sulla scuola? E quello sulla Rai, trasformato in un disegno di legge che il Parlamento (forse) licenzierà in autunno? E chi ha impedito a Renzi - dopo le dimissioni del ministro Lupi - di spacchettare in due le Infrastrutture, alterando il numero dei ministri imposto dalla legge Bassanini?

Da qui la conclusione: con Mattarella anche la moral suasion s'esercita in privato. Come peraltro detta il carattere dell'uomo. Giacché sul ruolo del presidente della Repubblica, organo monocratico, gli accidents of personality contano più dei 9 smilzi articoletti con cui i costituenti ne hanno regolato le funzioni. Ma contano altresì gli accidents of history , le stagioni della storia. Si è scritto molto, e per lo più a sproposito, sulla metamorfosi dell'ultimo Cossiga. Ma fu la crisi della prima Repubblica a mettere in crisi l'ottavo presidente. D'altronde pure Ciampi, pure Napolitano, cominciarono in sordina. Eletti da una maggioranza di sinistra, occuparono il centro della scena solo quando la destra conquistò palazzo Chigi, con i governi di Silvio Berlusconi.

Può darsi che a Mattarella tocchi la medesima esperienza. Ma nel frattempo lui è diventato popolare anche attraverso i suoi silenzi. Perché quell'uomo riflette, suo malgrado, lo spirito del tempo. Ormai gli italiani detestano gli sprechi, compreso lo spreco di parole. E hanno in odio i politici, con tutta la loro logorrea. In Mattarella, viceversa, non riconoscono il politico, bensì il giudice costituzionale, il professore di diritto. Una svolta epocale: dal presidente della Repubblica al professore della Repubblica.