Il Sudafrica è flagellato dalla scarsità d'acqua, e così i paesi vicini. L'Etiopia rischia una crisi umanitaria come quella degli anni Ottanta. Ma non è solo l'Africa a patire le conseguenze del fenomeno, che si sommano a quelle del riscaldamento globale

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Altro che granaio del continente. Con i prezzi alle stelle, i campi riarsi e i magazzini vuoti, il Sudafrica chiede aiuto. Ad esempio al Brasile, che per la prima volta ha cominciato a esportare mais dall’altro lato dell’Atlantico. Nel 2016 le consegne dovrebbero raggiungere i cinque milioni di tonnellate, all’incirca la metà del fabbisogno nazionale. A conferma che anche il Sudafrica, un paese a reddito medio, ammesso nel prestigioso club dei “Brics” emergenti, è tra le vittime di El Niño.

Alla carestia, la peggiore dal 1982, il ciclico surriscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico ha contribuito in modo decisivo. Il fenomeno ha cominciato a manifestarsi nel marzo scorso a migliaia di chilometri di distanza ma, più di quanto era già accaduto in passato, sta producendo conseguenze devastanti. “La furia di El Niño apre scenari finora sconosciuti” ha avvertito in una conferenza stampa al Palazzo di Vetro Stephen O’Brien, vice-segretario generale e coordinatore degli interventi di assistenza umanitaria dell’Onu.
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La crisi in Sudafrica e nell’intera regione dell’Africa australe è rivelatrice. Secondo le Nazioni Unite, le persone a rischio fame a causa delle siccità sono circa 30 milioni. Il Sudafrica ha dichiarato lo stato di calamità naturale in cinque province su dieci, mentre i prezzi del mais sono aumentati del 50% in poche settimane. A Johannesburg, la principale metropoli del paese, l’acqua è stata razionata, mentre a Pretoria, la capitale, è stata registrata la temperatura record di 42,5° C.
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A livello nazionale le persone bisognose di aiuto sono almeno due milioni e 700.000 e molte di più ce ne sono nei paesi vicini, dove nei prossimi mesi l’emergenza potrebbe aggravarsi: Angola, Botswana, Malawi, Zambia, Zimbabwe, Lesotho, Swaziland e Mozambico. Ma la crisi non è solo regionale. Migliaia di chilometri più a nord, in paesi tra i più poveri e tormentati al mondo, l’aumento delle temperature lungo le coste dell’Oceano Indiano ha alterato i regimi delle piogge.

Regioni soffocate dalla siccità confinano con aree sferzate dalle alluvioni. Se nel campo keniano di Dadaab le piogge hanno riportato l’incubo colera tra i somali fuggiti dalla guerra, l’Etiopia è alle prese con una carestia paragonata dalle ong a quella che nel 1985 ispirò i megaconcerti solidali del “Live Aid”. L’Onu prevede che prima del prossimo raccolto, previsto a giugno, nel paese del Corno d’Africa le persone bisognose di aiuto raggiungano i 15 milioni. Mentre l’organizzazione umanitaria Oxfam calcola in almeno un miliardo e 400 milioni di dollari il costo degli interventi indispensabili, sottolineando come il governo di Addis Abeba abbia per ora stanziato appena 190 milioni. Le stime nazione per nazione sono necessarie, nella consapevolezza però del carattere globale dell’emergenza. La mappa dei paesi colpiti copre infatti più continenti, seguendo i tropici e l’equatore. “Dall’Etiopia ai Caraibi alla Papua Nuova Guinea milioni di persone stanno patendo la fame a causa delle siccità e dei raccolti rovinosi” dice a L’Espresso Alessandro Cristalli, responsabile dell’ufficio Africa di Oxfam.
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A sud del Sahara l’impatto è esasperato dalla povertà delle popolazioni e dall’inadeguatezza delle infrastrutture, ma i venti caldi dell’Oceano arrivano anche altrove. In America Centrale, dall’Honduras al Guatemala, dove le persone a rischio sono oltre quattro milioni. O nel Pacifico meridionale, con 13 paesi colpiti, dalle Figi alle Vanuatu. Gli esperti concordano che pur non essendo causato dai cambiamenti climatici El Niño ne amplifica le conseguenze, innescando siccità e alluvioni ancora più devastanti e imprevedibili. Un problema complicato dall’esiguità delle risorse disponibili per la prevenzione e l’assistenza umanitaria. Le capacità di intervento sono condizionate dai tanti conflitti armati in corso nel mondo, con un numero di profughi che secondo l’Onu ha ormai raggiunto i 60 milioni, un record dalla fine della Seconda guerra mondiale.

"Siamo già messi duramente alla prova dalle crisi in Siria, Sud Sudan e Yemen” sottolinea Cristalli: “Il moltiplicarsi dei fronti rischia di indebolire la nostra risposta, mentre l’emergenza El Niño, a innesco lento, progressiva e inesorabile, richiede interventi incisivi da parte degli Stati, dei donatori e delle agenzie”. Le prospettive dalle quali osservare il fenomeno sono molteplici, sociali e politiche, ma anche ambientali e biologiche. Negli ultimi mesi sono state raccolte prove di migrazioni inedite legate al riscaldamento delle acque tropicali. L’ultima è di colore blu ardesia e giallo intenso, e ha una coda a paletta a pois: un “pelamis platura”, velenosissimo serpente di mare trovato su una battigia del Nuovo Galles del Sud, in Australia. Dove non avrebbe mai dovuto arrivare.