L'ultimo romanzo di Dorit Rabinyan, racconta la storia d'amore tra un artista palestinese e una traduttrice israeliana a New York. Il ministero dell'Istruzione di Israele ha proibito che fosse adottato nelle scuole. Con l'effetto che nelle librerie di Gerusalemme e Tel Aviv ha già venduto 30mila copie. Abbiamo parlato con l'autrice

Censurare un romanzo non solo è ingiusto e antidemocratico, ma può sortire esattamente l’effetto opposto: far esplodere la curiosità e la voglia di leggere il libro “proibito”. Sembra proprio quello che sta succedendo all’ultima opera della scrittrice israeliana Dorit Rabinyan, autrice di Borderlife (Gader Haya, in ebraico ndr), che narra la storia dell’amore sbocciato a New York tra un artista palestinese e una traduttrice israeliana. In poco meno di un mese ne sono state vendute più di 30.000 esemplari, una cifra importante se si considera il piccolo mercato delle pubblicazioni in lingua ebraica.

Il romanzo è praticamente impossibile da trovare. Le librerie di Gerusalemme e Tel Aviv continuano a ricevere ordinazioni e c’è chi ne prenota fino a 10 copie. La baraonda mediatica che ha creato il caso di Borderlife, è scaturita dalla presa di posizione del Ministero dell’Educazione, guidato col pugno duro dalla stella nascente della politica israeliana, leader della destra oltranzista religiosa e idolo del movimento dei coloni, Naftali Bennett.

Questi ha deciso che il libro della Rabinyan non poteva essere incluso nelle letture all’interno del curriculum degli studenti delle superiori perché “le scene di intimità tra la coppia [composta] da due parti opposte del conflitto minacciano di indebolire il fulcro dell’idea nazionale: Israele è uno stato ebraico e può rimanere così solo se gli ebrei stanno alla larga da relazioni amorose con non-ebrei”. La destra israeliana – maggioritaria in questo momento - ha salutato con favore la decisione del ministero, mentre ha provocato la reazione indignata degli ambienti liberal di Israele, con la deputata d’opposizione Ksenia Svetlova a definire il provvedimento “nauseante”. “Per me è stato scioccante” ha raccontato la Rabinyan a l’Espresso “sono venuta a conoscenza del caso quando è esploso sulle pagine dei quotidiani israeliani”.
La copertina dell'edizione israeliana di 'Borderline'

L’autrice, che con Borderlife è alla sua terza prova come romanziera e con il quale si è aggiudicata quasi due anni fa il prestigioso premio Bernstein per la letteratura, racconta di essere arrivata a conoscenza di un lungo braccio di ferro tra il ministero e il comitato artistico scolastico. “Scioccata, si, ma anche felice” aggiunge “quando ho saputo che moltissimi presidi di scuole superiori hanno deciso di includere il mio libro nonostante il divieto e ne hanno ordinate centinaia di copie”. Per Rabinyat, l’aver metaforicamente trasferito il suo libro dall’ora di letteratura a quella di educazione civica è già di per se “una vittoria”.

L’autrice, i cui due precedenti libri sono stati inclusi nei curriculum scolastici, è ben consapevole che il busillis che ha fatto esplodere il caso non solo in Israele, ma anche sulle pagine dei quotidiani di mezzo mondo, sta proprio nella componente etnico-religiosa che definisce la relazione amorosa tra un palestinese ed un’ebrea. “Se il giovane artista fosse stato italiano o francese, nessuno ne avrebbe parlato” e provocatoriamente aggiunge “sono molto lusingata nel sentire che il ministro dell’educazione veda il mio romanzo e quindi la parola scritta, come uno strumento così potente che possa favorire i matrimoni interreligiosi”. L’autrice spiega che il suo libro ha pungolato una ferita aperta nella maggioranza ebraica della società israeliana: “la paura di perdere la propria identità religiosa e culturale in favore di un’idea di comunità più aperta e inclusiva”. In Israele i matrimoni misti sono proibiti e le unioni hanno valore solo se officiate da un’autorità religiosa. Questo spinge le coppie “miste” a sposarsi all’estero, con la vicinissima isola di Cipro a fare da principale meta per chi voglia convolare a nozze legalmente.

Anche se nel suo libro cerca di decifrare il concetto molto discusso di “noi” e “loro” (ebrei e arabi) attraverso una relazione romantica, l’autrice non vuole sopravvalutare il suo ruolo di scrittrice, chiarendo che nelle sue opere non c’è nessun intento politico o pedagogico. “Non faccio il politico” spiega “non ho nessuna hidden agenda” aggiunge in inglese. Non cerco di imporre la mia visione del mondo, cerco solo di esporre le mie idee nel miglior modo che mi è possibile”. Sia come sia, il tentativo delle nuove destre religiose, rappresentate dal fumantino e dir poco controverso ministro dell’educazione Naftali Bennett, sembra essersi trasformato in un boomerang mediatico, che ha messo l’accento sulla deriva antidemocratica delle frange estreme della destra israeliana che al momento giocano un ruolo fondamentale nell’esecutivo di Benjamin Netanyahu.