Per l'anniversario della nascita del partito la Fondazione An organizza un'esposizione di cimeli, giornali, foto e manifesti. Tra saluti romani e ritratti del Duce
Lontana dalle divisioni del presente, le abiure di convenienza, le giravolte di potere e i litigi sul simbolo, la diaspora di An - deflagrata al punto da arrivare fino in Forza Italia - si ritrova unita sotto la fiamma primigenia: quella tricolore del
Movimento sociale italiano. Quel Msi, inizialmente Mo.s.it, che fin nel simbolo (il trapezio isoscele a simboleggiare una bara) e nell’acronimo (“Mussolini sei immortale”) già chiariva il senso di tutta una storia.
Si intitola “Nostalgia dell’avvenire”, come lo slogan coniato da Giorgio Almirante a fine anni ’60, la mostra che la fondazione Alleanza nazionale ha organizzato per i 70 anni dalla fondazione del partito (26 dicembre 1946). Mezzo secolo di neofascismo, esibito dal prossimo 20 ottobre al 10 febbraio nella sede di via della Scrofa con orgoglio e senza complessi di sorta.
[[ge:rep-locali:espresso:285234209]]Perché del resto, piaccia o no,
questo è l’album di famiglia della destra italiana: reduci repubblichini dalla fresca impronta antisemita come padri fondatori, il gene della sconfitta cucito addosso (“Siamo nati in un cupo tramonto”), la nostalgia del Ventennio e l’idea di rivincita, i saluti romani che in Germania tuttora costano l’arresto, le camicie nere in campagna elettorale a imitare tristemente le squadracce di prima della marcia su Roma; gli assalti alle università occupate durante la contestazione giovanile, le violenze di piazza, la morte data e subita durante gli anni di piombo; le istigazioni all’illegalità di dirigenti-capipopolo più che politici, gli ufficiali golpisti e piduisti puntualmente eletti in Parlamento, la vicinanza - se non proprio contiguità - con ambienti implicati nelle trame eversive o stragiste, la campagna per reintrodurre la pena di morte; i cortei studenteschi, uguali identici a quelli di tre decenni prima, che a fine anni ’80, in nome dell’italianità, ancora manifestavano a Trieste contro e la minoranza slovena e a Bolzano contro la maggioranza tedesca.
Di tutto questo ovviamente, malgrado le intenzioni non agiografiche professate dagli organizzatori, si trova traccia solo a saper “leggere” storicamente cosa c’è dietro le foto in bianco e nero di quegli anni, dalle piazze gremite ai comizi di Almirante al sostegno, in nome dell’anticomunismo, alle tremende Falangi cristiano-maronite libanesi (così come ai peggiori regimi militari che fecero carta straccia dei diritti umani).
Certo, il Msi non fu esclusivamente questo. Fu un partito popolare capace di sfondare al Sud e rivaleggiare per consenso con gli odiati comunisti nelle borgate del sottoproletariato urbano. Fu uno dei primi a porre il tema del presidenzialismo (sebbene prevalentemente per il dna autoritario) ed ebbe al suo interno qualche sparuta voce giovanile che a fine anni Settanta scoprì coi campi Hobbit che l’universo di riferimento non necessariamente cominciava e finiva a Predappio, ponendo (senza grande ascolto va detto) le questioni dell’ambientalismo e del terzomondismo con slogan tipo “né Marx né Coca-cola, né banche né soviet”.
Soprattutto ebbe, nelle ultime pagine di storia, la sua grande occasione col declino della Prima Repubblica: la questione morale (“l’Italia onesta in piazza con la destra”), le manifestazioni a sostegno di Mani pulite (“Tangentocrazia ti spazzeremo via”), gli attacchi alla Lega secessionista in nome dell’unità della patria (“Bossi fa avanspettacolo”): tutti temi frettolosamente archiviati e sacrificati sull’altare del potere e dell’alleanza con Silvio Berlusconi, che ha finito per rendere non più così distinguibili la presunta diversità degli inflessibili ex camerati dai disinvolti yuppies forzisti.
Tutta una serie di ragioni che spiegano, forse, come mai la destra italiana ancora stenti a trovare, come in Francia, quella via “legalitaria e repubblicana” indicata troppo tardivamente da Gianfranco Fini per essere credibile agli occhi dell’opinione pubblica senza affogare nella miseria elettorale che ha travolto Futuro e libertà. E non è un caso, se si guarda Oltralpe, che il punto di riferimento resti semmai il Front national di Marine Le Pen, altra fiamma tricolore identica a quella del Msi. A conferma di quanto certe radici non sia possibile davvero reciderle del tutto. Soprattutto se non c’è l’intenzione.