Angelino Alfano ancora non l'ha digerita: "Siamo all'avanti un altro" dice commentando la sorte toccata all'ultimo degli eredi sedotti e abbandonati da Silvio. Mentre il centrodestra continua a vagare in cerca di un leader

Si dipinge come un uomo sfortunato, Silvio Berlusconi. Un uomo tradito da pupilli che lui ha educato per bene e che poi lo hanno tradito, «passando addirittura dall’altra parte». Così ha detto, almeno, intervistato da Pierluigi Diaco su Rtl. Così ha detto prima di silurare però Stefano Parisi, che è così l’ennesimo delfino che mai diventerà leader.

 Di leader in giro «c’è solo Renzi» dice infatti Berlusconi, aggiungendo che ce ne sarebbe un altro che è però costretto lontano dalla politica. E l’altro, ovviamente, sarebbe lui, nel caso non si fosse capito: il patriarca («Ho dieci nipoti, sono un vero patriarca», dice il nonno contento) che non trova un erede. Nessuno che possa guidare il centrodestra, che così soffre però più di quanto non sia già condannato a soffrire, stretto nello scontro tra Pd e Movimento 5 stelle.
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L’elenco dei fallimenti di Berlusconi in effetti è lungo e la posa di chi ha il morale a terra è dunque comprensibile. Il delfino più famoso, quello durato più a lungo, è Angelino Alfano, che sembrava quello giusto, lui e il suo Lodo, meridionale buono per tenere saldo il consenso a Sud. Ma Alfano non aveva il «quid», si accorse a un certo punto Berlusconi che pure a Maria Latella disse «Alfano è bravissimo. Ho visto come ha gestito situazioni più che complicate. È in grado di assumere decisioni difficili ma sa farlo coinvolgendo tutte le parti. È bra-vis-si-mo». E invece no, gli mancava qualcosa - e non si dica «i voti», come si potrebbe pensare guardando poi il risultato di Ncd.
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La rottura con Alfano è stata per Berlusconi dolorosa, consumata promettendosi di rincontrarsi presto: «Il gruppo che nasce oggi apparirà come un sostegno alla sinistra, ma dovrà per forza fare parte in futuro della coalizione dei moderati» disse Berlusconi poco prima che Alfano cominciasse la sua conferenza stampa di addio. Il rapporto d’altronde era stretto, con Alfano che è stato il primo e unico segretario del Popolo della libertà. Oggi, che il posto di Alfano sia sempre con Berlusconi non è più così certo («Siamo all’avanti un altro», dice Alfano ancora risentito), ma proprio perché è ancora aperta la ricerca di una leadership e l’ex delfino non vuole finire a portare in trionfo il segretario del partito che fu del Trota: Matteo Salvini. Salvini, il nostrano Trump con cui ha invece ottimi rapporti Giovanni Toti, l’ex direttore del Tg4 e Studio Aperto, altro delfino rimasto nell’acquario.

Prima nominato “consigliere politico”, lui di voti ne ha presi, ma solo come leader di una coalizione, e solamente lo stretto necessario, tanti quanti ne sono bastati per superare di misura Raffaella Paita, la candidata del Pd già non favorita di suo e poi azzoppata (così almeno dicono i dem) dalla candidatura a sinistra di Luca Pastorino, civatiano. Toti di voti ne ha presi ed è diventato governatore della Liguria, ma per il resto anche lui per Berlusconi è stata una delusione.

Nel tentativo di farne un leader nazionale il Cavaliere gli aveva prescritto cure dimagranti e consigliato centri benessere. Memorabile è la foto in accappatoio bianco. Ma se non c’è il talento, il make up da solo non basta: Berlusconi lo sa e ha presto cambiato cavallo. E chissà quanto conta l’abbandono nell’opposizione che Toti ha così fatto a Stefano Parisi, che ora si ferma anche lui, colpevole di voler dare a Forza Italia un profilo troppo moderato, allontanandola dalla Lega: «Berlusconi si tenga Salvini», è infatti la replica di Parisi ai rimproveri del Capo, «ma così si perde». Si perde «cedendo a chi ha in mente uno schema diverso, che prevede l’alleanza con la Lega come precondizione per qualsiasi percorso».

Che è quello che a Berlusconi ha recentemente detto anche un altro ex numero due (non propriamente un delfino, anche se il Cavaliere nel 2007 disse «sarà il mio successore»): Gianfranco Fini. «Berlusconi dovrebbe considerare Salvini e Meloni come due avversari», ha detto a giugno l’ex presidente della Camera, che sa bene cosa vuol dire diventare un avversario di Silvio Berlusconi, uno che se lo provochi dicendogli «che fai mi cacci», lui ti caccia veramente e non conta nulla che qualche anno prima di te dicesse: «Fini giustamente si propone in maniera autorevole ed ha ragione ad avere aspirazioni». Sono frasi che Berlusconi ha detto a molti, gran corteggiatore. Anche a Giulio Tremonti, per dire: «Nel centrodestra abbiamo diverse personalità, Tremonti in primis, che possono suscitare consenso elettorale», disse una volta Berlusconi, sempre alla ricerca di un successore.

Giudizio opposto su Salvini ha invece un altro ex delfino, Raffaele Fitto, che si è allontanato da tempo dal Cavaliere, e volendo però restare nel centrodestra ha fatto i complimenti al leghista per la sua recente manifestazione fiorentina, trumpiana, quella criticata da Parisi. «Con Salvini siamo in sintonia su diverse cose: il No vero al referendum; il No a pasticci con Renzi e la sinistra anche dopo il 4 dicembre; il No all'Europa di Juncker e del patto Ppe-Pse, che sta soffocando la speranza europea; il No a una legge elettorale proporzionale, che spezzetterebbe il centrodestra». Fitto. Un altro dispiacere.

Berlusconi dell’ex governatore pugliese disse che era la sua «protesi» salvo poi ricredersi e parlarne come di «uno che mi ha usato come un taxi», «un peso di cui ci siamo liberati». Ma è nella rottura con Fitto che affiora forse il limite di Berlusconi, ciò che gli rende così complicata la ricerca di un erede. È che la politica, a differenza delle aziende, non prevede eredità. Discendenza sì, ma con molte variabili. E Fitto ha sempre avuto un’azienda sua, una sua attività, ereditata, semmai, dal padre, Salvatore, morto in un’incidente stradale quando il figlio aveva 19 anni. Sue sono le 280mila preferenze prese alle ultime europee, che non bastano per fare un partito (uno degno di nota) ma ti fanno sentire autonomo, troppo autonomo per un Patriarca che non vuole mollare, e pensa di dover risolvere lui tutte le controversie, finendo «per alimentare la confusione», come oggi gli rinfaccia Parisi, che ora i più pensano potrebbe finire dall’altra parte, magari con Alfano. Delfini che vanno, delfini che vengono. Alleati che vanno, alleati che vengono.