Basta con il fiscal compact e l’austerità. Con la generazione di Merkel e di Hollande. Il premier attacca le istituzioni Ue vestendosi di tricolore per conquistare il voto populista. E sogna di presentarsi in Europa da vincitore

Renzi
Intanto, sono sparite le bandiere. Poche ore dopo la devastante scossa di terremoto di domenica 30 ottobre nell’Italia centrale, Matteo Renzi si è mostrato di fronte alle telecamere nella sala delle Galere di Palazzo Chigi. Alle sue spalle risaltava una fila di dieci grandi bandiere, tutte italiane. Un tripudio di tricolori, a fare da sfondo alla dichiarazione del premier, mai visto: nella grande sala al primo piano e in quella delle conferenze stampa al pian terreno della sede governativa, in genere ci sono due bandiere, una dell’Italia e una dell’Europa. Un’innovazione non solo scenografica, ma politica. Quasi una rivendicazione: io sono un autarchico, quarant’anni dopo il film di Nanni Moretti.

Un anno fa la premier polacca Beata Szydlo, nazionalista ed euro-scettica, aveva fatto la stessa operazione. E, interrogata dai cronisti, si era giustificata spiegando che da quel momento in poi durante i briefing sulle questioni nazionali sarebbero sventolati solo i colori bianco-rossi. Nessuno, invece, ha polemizzato con l’euroammaina-bandiera renziano.
referendum
I renziani? Pensano già al Day After
20/10/2016

Eppure il messaggio è evidente, in linea con i comportamenti del premier nell’ultimo periodo, dalla presentazione della legge di bilancio 2017 in poi. Lo scontro con Bruxelles sulla manovra finanziaria. La lettera della Commissione Ue e la dura replica del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. La violenta polemica tra Renzi e il collega ungherese Viktor Orbán: «Si sciacqui la bocca prima di parlare dell’Italia!».

E l’uno-due pubblico: la manifestazione di piazza del Popolo a Roma e la kermesse della stazione Leopolda a Firenze che precede di un mese il referendum del 4 dicembre, in cui Renzi sta via via svelando la sua strategia per il dopo-voto. «Dobbiamo avere un 2017 scoppiettante», ha spiegato il premier. «La vittoria al referendum serve a questo: arrivare agli appuntamenti del 2017 con un paese più forte». Il successo del sì al referendum, nei piani dell’inquilino di Palazzo Chigi, è solo il primo passo verso l’obiettivo più ambizioso: conquistare la leadership della nuova Europa.
Illustrazione di Duluoz

Nell’agenda Renzi è fissata la data del marzo, quando i capi di governo dei 27 paesi Ue si riuniranno a Roma per i sessant’anni della comunità europea. Con un progetto dirompente: rimettere in discussione il Fiscal Compact che impone il pareggio del bilancio, la riduzione del debito sotto il 60 per cento del Pil e sanzioni per i paesi in deficit. «Non inseriremo mai il Fiscal Compact nei trattati», ripete Renzi in pubblico e in privato.

Una posizione difficile da interpretare, dato che il Fiscal compact approvato dall’Italia nel 2012 nella scorsa legislatura con voto parlamentare quasi unanime (votò contro solo la Lega) non ha una scadenza: il suo eventuale inserimento nei trattati non ne muterebbe la sostanza. Ma l’affondo rivela le finalità di Renzi: accumulare forza necessaria per smantellare le regole attuali, approvate in un’altra epoca, quando l’austerità imposta da Berlino dettava legge in tutto il continente, in particolare agli spendaccioni Stati del sud della finanza allegra, la Grecia, la Spagna e l’Italia. Riscrivere il patto di convivenza europeo è una battaglia che vale molto di più dei decimali di punto su cui il governo italiano sta fronteggiando i rimproveri di Bruxelles. Un rilancio politico su scala continentale. Che può assicurare al pokerista Renzi l’intera mano. O può capovolgersi nell’opposto, un bluff fallito che l’Italia pagherebbe a costo elevatissimo.

La strategia di accerchiamento della vecchia Europa signora dell’austerità si muove su due fronti, uno economico e uno politico. Il premier è un pragmatico che non si lascia incasellare in dottrine o scuole di pensiero. Al momento dell’ascesa al potere, Renzi è stato appoggiato dai rigoristi del centro-sinistra, i sostenitori di Mario Monti nel Pd come Enrico Morando e Giorgio Tonini, e da chi si candidò in Parlamento per portare avanti l’agenda del premier tecnico, come Andrea Romano e Carlo Calenda. Ma già allora il sindaco di Firenze rifiutava di farsi associare troppo ai signori in loden e ai “tedeschi” della Bocconi. Oggi la Renzinomics è un impasto di ricette liberiste o neo-liberiste, come il taglio delle tasse per rilanciare i consumi, e di obamismo, l’iniezione di massicci investimenti pubblici per risvegliare la crescita, con un’attenzione particolare ai signori del digitale (Amazon, Google, Apple, Facebook). Un modello che il premier vorrebbe esportare nel resto d’Europa.

Sul secondo fronte, quello politico, Renzi vede davanti a sé il vuoto lasciato dal liquefarsi della tradizionale socialdemocrazia europea. La foto di gruppo di due anni fa, quella del cosiddetto patto del tortellino alla festa dell’Unità di Bologna, con Renzi in mezzo ai leader del socialismo europeo tutti ritratti in camicia bianca, è già svanita. Lo spagnolo Pedro Sanchez in poche settimane ha perso il posto da segretario del partito e si è dimesso da deputato, mentre i suoi compagni socialisti si sono astenuti per far nascere un governo guidato dal rivale di sempre, il popolare Mariano Rajoy.

Il premier francese Manuel Valls sta accompagnando il presidente François Hollande nel suo cupio dissolvi, con i sondaggi che lo danno a una cifra e “Le Monde” che titola allibito: «La volontà di Hollande di candidarsi semina il panico nel suo campo». In Inghilterra c’è Jeremy Corbin che promette di inchiodare per anni il Labour Party all’opposizione. E in Grecia il giovane Alexis Tsipras è sfiorito. Ma Renzi non è soltanto il solo leader ancora in piedi nel centro-sinistra europeo. Rischia di essere anche l’unico governante in buona salute nei paesi fondatori, perché anche Angela Merkel soffre in casa la presenza di un’opposizione che per la prima volta viene da destra. E il premier italiano fiuta l’occasione storica per proporsi come il leader della futura Europa, con lo stesso copione che ha seguito in Italia: la rottamazione della generazione politica precedente.

Difficile ripetere quello schema. La Merkel non è D’Alema. E nelle principali cancellerie europee, a Berlino in particolare, si avverte una crescente insofferenza verso le giravolte polemiche del premier italiano. Preoccupazioni che affiorano sempre di più, al di là delle prudenze diplomatiche. Due settimane fa, ad esempio, all’incontro bilaterale tra la Confindustria italiana e l’omologa tedesca, la potentissima Bdi, era visibile il fastidio per le posizioni di Renzi in Europa. Sulle risorse per l’accoglienza dei migranti, punto di contrasto tra Renzi e la Ue, i tedeschi fanno notare che nell’ultimo anno il governo Merkel ha dovuto fronteggiare un milione di nuovi arrivati, molto più dei 160mila sbarcati sulle coste italiane. Si fa notare che gran parte dei migranti approdati in Italia cercano poi di raggiungere la Germania. E che le spese proclamate dall’Italia vanno poi dimostrate, rendicontate. Nelle ultime settimane, dopo il vertice di Bratislava, i tedeschi hanno preso a parlare di Renzi come si faceva con Silvio Berlusconi, con la peggiore delle accuse: inaffidabilità. Il giovane premier aveva convinto gli altri governi di essere l’unico in grado di bloccare i populisti e gli euro-contrari come il Movimento 5 Stelle. Ma se sull’Europa comincia a usare gli stessi argomenti di Beppe Grillo e Matteo Salvini il discorso cambia.

Il Renzi di attacco inquieta i partner europei. Minaccia una nuova stagione di incertezza, anche in caso di vittoria del Sì al referendum. E infatti le agenzie di analisti internazionali come la Bernstein prevedono riservatamente, nei report arrivati sui tavoli italiani, che non c’è da preoccuparsi per un’eventuale vittoria del No. Anzi, la sconfitta di Renzi potrebbe favorire la nascita di un nuovo governo tecnico, che marcerebbe spedito sulla strada delle riforme. Ovvero non metterebbe in discussione il Fiscal Compact e i dogmi della precedente stagione. Ma una suggestione come questa può trasformarsi in un inaspettato assist per il Renzi anti-Bruxelles in campagna elettorale. In gioco ci sono i voti degli elettori leghisti, berlusconiani, grillini, attratti dal premier che batte-i-pugni-sul-tavolo. Vincere in Italia per cambiare verso in Europa, cambiare leadership. Nell’attesa, sono cambiate le bandiere.