Dal Javits Center lo sconcerto dei supporter dell’ex Segretario di Stato: donne in larga maggioranza che, ora dopo ora, risultato dopo risultato, hanno visto tramontare la loro speranza di vedere eletto il primo presidente “rosa” degli Stati Uniti. E per la Clinton nessun discorso

Il silenzio di Times Square è surreale. Interrotto solo, di tanto in tanto, dall’arrivo di qualche dato a favore di Hillary Clinton. La parola che si sente piu frequentemente, sebbene sussurrata quasi, è "scary", pauroso. All’interno del Javits Center le telecamere si soffermano sui volti in lacrime di molti supporter dell’ex Segretario di Stato: donne in larga maggioranza che, ora dopo ora, risultato dopo risultato, hanno visto tramontare la loro speranza di vedere eletto il primo presidente "rosa" degli Stati Uniti.

Usa 2016
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Per entrare, avevano tutti pazientemente fatto la fila per ore, indossando sorrisi e spille di Hillary e la convinzione che New York sarebbe stata la nuova Chicago e avrebbe fatto la storia. O almeno un’altra storia, rispetto a quella che è passata sotto i loro occhi come un incubo. Eppure nessuno si muove. Tutti restano aggrappati a quell’ultimo filo di speranza di una mappa elettorale che "against all odds" potrebbe ancora cambiare tutto, sbaragliare il tavolo e far illuminare l’Empire State building di blue. I numeri, però sono crudeli e il Javits Center è sempre più avvolto da una morsa che è di sconcerto.
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"A noi, qui, – mi dicono molti – non succederà nulla. Questa è New York". Ma poi un altro dato appare sui mega schermi e le mani si stringono, gli occhi ridiventano lucidi. Intanto, tutta la città, senza necessità di porre nessuna enfasi in questo, è totalmente sotto choc. Per la prima volta nella storia, entrambi i candidati sono riuniti sotto lo stesso cielo, quello di uno dei luoghi più liberali del paese, "casa" di entrambi gli aspiranti alla Casa Bianca e che ha chiaramente espresso la sua scelta. Se questa elezione entrerà nella storia, perché comunque quella di stanotte sarà "un’elezione storica", sarà anche perché il nuovo presidente arriverà a Washington senza aver conquistato il suo stato di provenienza, confermando, però, la tradizione che vuole i "commander in chief" mettere la propria bandiera in Ohio. E in Florida.

Non è bastato, infatti, il voto dei "latinos" a salvare Hillary Clinton da una vittoria che ieri mattina tutti i suoi sostenitori si aspettavano: invece la matematica è semplice e il candidato repubblicano che, d’altro canto, solo qualche giorno fa, i sondaggi davano vincente, è riuscito a portare alle urne molti più elettori di quanto non abbiano fatto i democratici.

Trump ha saputo parlare a quella parte dell’America che, in otto anni di presidenza di Barack Obama, aveva sentito di aver perso potere, aveva sentito di essere stata derubata della propria identità: l’America bianca, fortemente attratta dall’uomo forte e, apertamente, razzista e misogina. In qualche modo, confermando la complessità di questo paese, si può dire che Donald Trump ha fatto ciò che Barack Obama aveva fatto otto anni fa, solo puntando a principi assolutamente antitetici.

Obama aveva dato al paese la speranza di diventare migliore promettendo l’allargamento dei diritti civili, dell’inclusione, dell’eguaglianza e un percorso diplomatico più forte e con meno guerre.

Trump ha dato la speranza, a chi lo ha votato, di tornare ad essere un paese che non esiste più ma che tuttavia molti non vogliono lasciar morire: e quando regali una speranza, poco conta quanto poi quel progetto sia realizzabile. Mai come la scorsa notte l’America si è divisa tanto che quasi in ogni stato "ballerino" la vittoria è andata a Trump, perché il massiccio voto democratico dei grandi centri urbani non è riuscito ad arginare la valanga repubblicana arrivata dai piccoli centri e dalle zone rurali che, compattamente, hanno risposto all’appello del magnate newyorchese.
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Per questa ragione, stati come la Pennsylvania o il Michigan, che avrebbero dovuto dare la sicurezza di vittoria a Hillary, sono stati in bilico fino alla fine: perché le grandi città non hanno, come solitamente avviene, surclassato il voto delle contee piu remote e persino spesso indifferenti al voto. È a quell’america che Donald Trump ha saputo parlare. È quell’america che Donald Trump ha saputo energizzare facendogli sentire come legittime le proprie paure: paura dello straniero, paura di un governo più attento al sociale, paura di una trasformazione troppo rapida.

Hillary Clinton ha perso, sicuramente perché donna, con l’aggravante di essere una donna che, come dicono gli americani, "faceva i suoi compiti a casa". Ai democratici è mancato il candidato in grado di far sognare e questo, in definitiva, è un paese che si è costruito e si regge sull’idea della possibilità di realizzare l’impossibile. Quello che ha fatto, gli va riconosciuto, Donald Trump. Nelle prossime ore assisteremo all’autopsia del voto che verrà spiegato e analizzato in ogni nota e il paese dovrà riprendersi da un risultato che molti di quelli che stasera riempiono, increduli, le strade di New York, definiscono un "nuovo 11 settembre", ma la maggior parte degli esperti politici sottolinea come gli Stati Uniti abbiano una struttura istituzionale tale da reggere, "digerire" e normalizzare persino un contraccolpo come questo.

All’interno del Javits Center, però, mentre la mappa del paese diventa sempre più rossa, c’è un dolore vero e lo leggi in ogni volto. Fra qualche ora New York si risveglierà ma sicuramente, per qualche giorno, ci sarà ancora molto silenzio.