Nel film di di Stephen Frears Meryl Streep è Florence Foster Jenkins. Una miliardaria con ambizioni di cantante, orribilmente stonata, che tutto il mondo della musica asseconda per interesse
La vera storia di Florence Foster Jenkins, ereditiera newyorchese, aveva già ispirato alla lontana un paio d’anni fa il francese “Marguerite” di Xavier Giannoli. Ed è curioso che il cinema non ci avesse pensato anche prima, a raccontarla: miliardaria con ambizioni di cantante, Florence era orribilmente stonata, ma tutto il mondo (critici, musicisti, bel mondo) la assecondava per interesse.
Le sue incisioni sono diventate nei decenni oggetto di culto trash o camp. Il film di Frears fa miglior uso della storia di quello francese, e ne ricava soprattutto un piacevole veicolo per il virtuosismo di
Meryl Streep. Siamo nel 1944, ultimo anno di vita di Florence Jenkins, e seguiamo la sua escalation sempre più pericolosa, dalle lezioni di canto ai concerti, fino all’impresa più temeraria: un concerto di beneficenza per le truppe americane alla Carnegie Hall. A organizzare tutto e proteggerla, il marito St. Clair, attore inglese spiantato che vive alle sue spalle ma che, a suo modo, la ama.
Frears, regista di “The Queen” e “Philomena”, era il nome perfetto per un film del genere, e si mette al servizio di un copione di Nicholas Martin che non infierisce sui personaggi. Perché, certo, Florence è una povera mentecatta, anzi un esempio di «egocentrismo patetico e vanaglorioso» come dice a un certo punto l’unico critico non venduto di New York. Però si mette in gioco fino in fondo, e del proprio amore non ricambiato per l’arte fa una missione.
“Florence” è anzitutto un film d’attori, divertiti e divertenti, in ruoli facili e rodati, sul filo dell’autoparodia e oltre. Hugh Grant mantiene un contegno davanti alle catastrofi canore della moglie: alza le sopracciglia, guarda furtivo di lato, strabuzza gli occhi e sorride ammiccante. Lui e Simon Helberg (molto simpatico, nella macchietta del giovane pianista gay tormentato che accompagna Florence) fanno da sponda nei controcampi, guidando lo spettatore. Ma non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, tanto è gigantesca
Meryl Streep, che lambisce il grottesco e il patetico, e sembra divertirsi a stuzzicare lo spettatore. Trema, stringe in pugno fazzoletti, ruota la testa, tiene gli occhi bassi, chiede approvazione guardandosi intorno o sorridendo in modo disarmante. E canta davvero lei, cimentandosi nell’arte della perfetta stonatura.