Ventiquattro mesi di governo in un video. Un modello di comunicazione efficace, che pervade i media tradizionali come i social. Con un solo protagonista, il premio
Anche Matteo Renzi ha ora il suo album. Nel video diffuso sul sito del Governo italiano, Presidenza del Consiglio, è disponibile per i posteri il concentrato del brand Renzi, musica new age compresa. Come a metà degli anni Novanta, nel momento della sua discesa in campo Silvio Berlusconi aveva affidato a un rotocalco distribuito in milioni di copie la sua immagine, mescolando storia personale e attività pubbliche, famiglia e risultati imprenditoriali, passioni e manie, successi e imprese, oggi Renzi dedica a se stesso un video di alcuni minuti (poco meno di tre, tempo medio di massima attenzione nel web) per celebrare i due anni a capo del governo del paese. Un tempo breve, brevissimo, se misurato su quelli della storia, ma che in un sistema comunicativo, e anche economico, in continua fuga in avanti, ossessionato dalla velocità e dalla accelerazione, può sembrare un’eternità.
Questo il senso ultimo del video, del messaggio: durare. Mentre Berlusconi, pur avendo creato la televisione commerciale, inclinava per l’immagine fissa, la fotografia e l’album di famiglia, Renzi, figlio legittimo del berlusconismo, nato con quella televisione, usa l’immagine in movimento e la diffonde nel web, padrone di uno spazio virtuale molto più ampio e personalizzato del suo predecessore.
La “Generazione Bim Bum Bam”, come l’ha definita Alessandro Aresu in un suo ficcante libro (Mondadori), con lui è arrivata al potere. Dietro all’immagine del leader vincente, al suo rapido storytelling (nessuna immagine nel video dura più di 3 secondi), ci sono Cristina D’Avena e Alessandra Valeri Manera, Paolo Bonolis e Carlo Sacchetti.
Ignorata da De Rita e dal Censis, dai loro rapporti annuali, questa generazione si è alimentata dei Power Rangers e Lady Oscar. Ha ancora negli occhi La ruota della fortuna di Mike e l’idea di essere dei vincenti in una gara fatta di abilità, furbizia, improvvisazione. La dea bendata insieme alla divinità dell’occasione sono la coppia alata che presiede all’ascesa di Matteo Renzi il Rottamatore.
Il video del Presidente del Consiglio ci comunica l’idea di “un uomo solo al comando” dove gli altri, i ministri, sono solo delle comparse, lo circondano senza oscurare il Re Sole dell’attuale politica italiana. Il culto della personalità presiede a questa comunicazione in cui l’entusiasmo sprizza da tutti i pori del Capo. La sua retorica non è mai altisonante anche quando pronuncia parole impegnative come, rivolto ai parlamentari: «Avete scritto una pagina di storia».
C’è sempre nel suo stile comunicativo qualcosa che contrasta con la volontà di apparire uno statista; sarà il tono, o piuttosto le frasi che pronuncia nel tentativo di rendere memorabile il suo dire, ma la sua retorica piega verso il Bar Sport del paese, con un continuo abbassamento dal sublime al prosastico (i migranti che attraversano il mare non «stanno venendo in gita»). Claudio Giunta ha spiegato come Renzi sia privo d’inibizioni perché non conosce la differenza tra i registri, tra alto e basso.
Nello Barile, sociologo, in “Brand Renzi” (Egea) descrive come funziona questo meccanismo che qui nel video appare al culmine. Renzi usa quando parla la funzione che i linguisti chiamano “perlocutiva”: non si limita a enunciare uno stato dei fatti, ma intende sempre sortire un effetto su coloro che lo ascoltano e che, aderendo al punto di vista dell’oratore, sono in grado di modificare lo stato di cose in funzione di ciò che si è enunciato. Detto altrimenti, sottolineando più volte la parola d’ordine del «Andiamo avanti» (sua ossessione in twitter), crea l’effetto-andiamo-avanti. Nessuna verifica è possibile riguardo la perlocuzione, perché non ci dice mai lo stato dei fatti presente, ma sposta l’attenzione verso l’azione successiva, facendo credere di averla iniziata nel momento stesso in cui l’ha detto.
Fatte le dovute proporzioni, è la stessa retorica mussoliniana fondata su parole d’ordine («Se avanzo, seguitemi…») che scandiva slogan novecenteschi prodotti nella temperie della Prima guerra mondiale, una retorica bellicistica che non c’è in Renzi; anzi l’attuale Presidente del Consiglio non crede come il Duce che «Molti nemici, molto onore»; Matteo getta invece discredito sugli avversari con l’ironia e con il sarcasmo (i Gufi). La sua retorica, oltre a includere lo stile Bar Sport (il suo retaggio fiorentino e da sindaco, doppio imprinting), contiene quella tipica dei brand commerciali.
Barile lo dice in modo icastico ed efficace: «far trionfare il principio di speranza su quello contabile», far «prevalere la vision sulla mission». In questo Renzi si distacca dall’aziendalismo di Berlusconi, perché le sue sono tutte visioni fondate sulla ricerca di un contatto empatico con i suoi elettori: condivisioni pop. Resta berlusconiana l’ossessione del successo, lo stesso stile entusiastico; tuttavia nel Rottamatore (termine che non usa più) c’è un lato più “politico”. Dice nel video rivolto ai parlamentari: «scrivere una pagina possibile per un paese che ha uno straordinario bisogno di politica»; oppure: «la sfida è difficile ma saremo all’altezza se ci ricorderemo che noi tutti insieme siamo l’Italia». «Noi», quarta persona grammaticale, è presente innumerevoli volte nei suoi discorsi e sta per: «Io più voi»; un Noi che è anche plurale maiestatis ed è un’inclusione dell’auditorio nell’Io.
C’è anche il “politicamente corretto”, per cui “donne” viene sempre prima di “uomini” nelle frasi. Il video è costruito con una tecnica da
cut-up , montaggio abile che coglie quello della sensibilità contemporanea modellata sulle pagine Facebook e sui video di YouTube, in cui quello che conta è la magia dell’accadere delle immagini e nelle immagini, senza che vi sia una vera interlocuzione o una verifica. Le stesse slide pubblicate in contemporanea con il video nel sito della Presidenza del Consiglio, dove si danno i dati numerici del successo, sono assertive: funzionano come un accadimento non come una prova verificabile.
Il dato del prima (in nero) accanto al dopo (in rosso) rovescia i colori tradizionali dei bilanci (in rosso in perdita, nero in guadagno); serve qui come un segnale coloristico, dove il rosso è colore vitale, e il nero invece tradizionale e serioso. La grafica che accosta un dato del prima (senza Renzi) a un dato del poi (con Renzi) è quella del Power point, che anche Berlusconi aveva cominciato a usare nell’ultimo periodo della sua Presidenza. Ricorda la grafica aziendale, quando vengono mostrati agli azionisti i successi dell’amministratore delegato.
Questa è probabilmente la figura che Renzi tende a dare di sé: l’Ad della politica italiana; per cui, la più volte ribadita idea che se perde il prossimo referendum istituzionale, se ne va, non vale tanto come una minaccia, o come un aspetto della sua democraticità, ma come un monito indiretto: fin che ci sono, comando io. Più volte i commentatori attenti hanno sottolineato l’assenza nei suoi riferimenti dei cosiddetti corpi intermedi della società, sindacati partiti, associazioni di categoria, le tante forme organizzative presenti nelle società democratiche occidentali che mediano la vita culturale, economica e sociale. Nel video dei due anni di governo, non c’è nessun riferimento a queste forme associative.
C’è solo Renzi e il campione sportivo, l’astronauta, l’attore famoso, il politico internazionale, il capo di Stato: tante individualità che s’affiancano alla sua, comprese le persone anonime che abbraccia o i gruppi che si fanno un selfie con lui. Ha ragione un suo sottile estimatore, Claudio Giunta, quando scrive in “Essere #matteo renzi” (il Mulino) che non è un caso che la sua ascesa politica abbia coinciso con la moda del selfie. In effetti più ancora di Berlusconi Renzi è l’Everyman di successo, l’uomo qualunque che grazie alla determinanzione, al talento, alla giovinezza, alla velocità si è affermato nel campo della politica.
Quella parola che Matteo Everyman usa come una moneta corrente, politica, non ha però alcun contenuto specifico, non evidenzia un progetto, se non quello che s’identifica con lui stesso. L’assenza di contenuti determinati è il limite ma anche la forza della sua impresa, del suo brand fatto di slogan accattivanti, (“La svolta buona”), di camicie bianche arrotolate (alla Kennedy viatico alla “Nuova frontiera”), di lavagne scolastiche, di slide con grafica da fumetto. Renzi usa il vintage come strumento di comunicazione, perché non c’è nessuna vera passione né verso il passato né verso il futuro, ma solo un continuo riuso delle immagini del passato e del futuro: il futuro in immagine. Schiacciato dalla sua retorica temporale (“oggi” è una delle parole più usate insieme a “futuro”), la sua grande forza risiede perciò nella continua tattica comunicativa.
Come mostrano i tweet che scrive, o i messaggi (l’ormai celebre “Renzi ai suoi” mandati come veline ai giornalisti amici che vogliono restare aggiornati su pensieri e azioni del Capo) gestiti dal suo braccio destro, Filippo Sensi, spin doctor, astutissimo propagandista dell’età dei social, in Matteo Renzi la tattica prevale sulla strategia. Anzi la sua vera strategia è la tattica, una guerra permanente combattuta sui media, con una logica cross-mediale, incrocio e sovrapposizione, che gioca contemporaneamente sulle varie tastiere comunicative: televisione, YouTube, social network, carta stampata, con un rimbalzo di notizie e notiziole che hanno nell’accelerazione e nell’anticipazione il loro “punto critico”, per dirla con Malcom Gladwell.
Se fosse possibile poter applicare alla politica italiana l’idea che ha avuto Bill Gates, depositata all’ufficio brevetti americano, del “corpo umano come apparato che trasmette corrente elettrica e dati”, Filippo Sensi sarebbe già all’opera per trasmettere solo i dati del Capo in un universo virtuale in cui le luci di palazzo Chigi sarebbero accese 24 ore 7 giorni su 7, mentre il Capo lavora per costruire il futuro radioso del NOI-IO.