Calais, perché lo sgombero della "giungla" è il simbolo del fallimento europeo
Bulldozer, lacrimogeni, scontri. L'assedio per disperdere i profughi non risolve il problema. E' solo un modo per rinviarlo. Come denunciano le associazioni. E come diceva lo stesso Hollande qualche anno fa
Lacrimogeni, bulldozer, manganelli. Baracche distrutte, pezzi di legno lasciati nel fango, plastica e teli ch'erano tetti diventati spazzatura. La “giungla” di Calais, parte Sud dell'accampamento di profughi che bivaccano in Normandia in attesa di tentare il passaggio della Manica verso la Gran Bretagna, è in corso di demolizione da parte della polizia francese. “L'ordine è stato ristabilito”. Forse. Ma soprattutto: e poi? Dove andranno da domani le migliaia di persone che vivevano qui in condizioni igieniche precarie?
In trecento potranno spostarsi nei container poco più in là, stanze da 12 letti ciascuna che insieme formano uno dei 102 centri d'accoglienza temporanea istituiti dal governo di Manuel Valls come risposta umanitaria alla crisi. E gli altri? Saranno sparpagliati in giro per la Francia. In pochi.
Le associazioni riunite nel network de “La Cimade” hanno spiegato però bene cosa succederà: i richiedenti asilo ricominceranno ad arrivare ai fianchi della strada per il Tunnel. Ricominceranno a vivere nei boschi, senza neanche quelle tende da ghetto, senza neanche quei piccoli shop, chiese, moschee, punti di ritrovo improvvisati nati dal basso nella “giungla” fangosa di Calais. Ricomincerà tutto da capo. I bulldozer non risolveranno l'emergenza. La faranno solo slittare un po' più in là.
E non è fatalismo dirlo. O voci troppo critiche dell'opposizione. Era lo stesso Presidente francese François Hollande a sostenerlo in un intervento del 2009 pubblicato allora su Slate e ritrovato in questi giorni da Libération. «In un primo momento, saranno meno numerosi. Ma poi le stesse cause produrranno gli stessi effetti e noi vedremo sorgere nuovi accampamenti». Così scriveva l'attuale capo dello Stato francese, che come allora fece Nicolas Sarkozy con la tendopoli abusiva di Sangatte – dove si ammassavano migranti per lo stesso motivo: arrivare in Inghilterra – così oggi fa a Calais. Entrambe – Sangatte e Calais – sono state chiamate “giungle”. «Quello che chiamiamo giungla è di fatto la traduzione selvaggia del fallimento delle politiche migratorie a scala europea».
Non poteva essere più chiaro, Hollande, nel 2009. Quindi proponeva delle soluzioni: «Una cooperazione tra la Francia e l'Inghilterra, che intervenga alla sorgente delle migrazioni delle popolazioni più in pericolo nel loro paese d'origine», e «delle strutture d'accoglienza che permettano in condizioni umane di preparare un futuro per ciascuno di questi esuli. Altrimenti è l'ipocrisia generale. Nascondere questi campi che non vorremmo vedere, questi volti che non vorremmo osservare, queste ombre che ci ricordano le guerre d'altrove, questa spazzatura e questi rifugi di fortuna che rivelano una sofferenza, si aggiunge alla crisi che stiamo attraversando. Al di là della giungla, la scelta è tra la civiltà e la barbarie».
La scena che lui con tale slancio descriveva si sta ripetendo in queste ore. Le tende distrutte, i lacrimogeni per sgomberare i migranti che si opponevano allo sfollamento, i lanci di pietre, i container, le soluzioni “umanitarie” e provvisorie. «Il problema si riproporrà tra pochi mesi. Tale è l'inefficienza abissale di questa azione mediatica dello Stato», ha detto il sociologo Eric Fassin a l'Observateur, che ha poi aggiunto, su chi accusa Londra di non collaborare: «Non possiamo chiedere all'Inghilterra di non fare per la Manica ciò che noi stiamo facendo a Ventimiglia». Le soluzioni di lungo periodo intanto restano un miraggio. Mentre l'Europa chiuse a poco a poco le frontiere.