Il sindaco di Sabrata Hussein Dhawadi sostiene la teoria che vorrebbe i quattro tecnici della Bonatti, due dei quali rimasti uccisi, essere stati prelevati da forze dell'Is. Ma in passato aveva negato la presenza delle bandiere nere sul suo territorio

Il ministro Gentiloni con i due tecnici rilasciati Gino Pollicardo e Filippo Calcagno
«Sono molti gli elementi che ?ci indicano che siamo di fronte allo Stato Islamico e non ?a criminali comuni. Anzitutto il materiale trovato nei covi, tutto il necessario per costruire cinture esplosive e le bandiere nere, in secondo luogo durante i blitz effettuati nelle ultime settimane ci siamo trovati ?di fronte miliziani kamikaze,?e questa era una pratica inedita fino alla comparsa dei fondamentalisti. E poi stiamo conducendo approfonditi interrogatori. E le confessioni degli arrestati portano tutte ?lì, sono targate Is». Parla il sindaco di Sabrata Hussein Dhawadi. Sembra lontanissimo il giorno in cui, poco più di ?un mese e mezzo fa, Dhawadi disse che a Sabrata l’Is non esisteva. Oggi, dopo il raid americano del 19 febbraio su un campo di addestramento ?e la tragica vicenda dei nostri due connazionali rimasti uccisi Salvatore Failla e Fausto Piano le versioni cambiano. E la chiarezza stenta a farsi strada.

«Tre giorni prima della liberazione dei due sopravvissuti italiani», continua Dhawadi, «le nostre forze armate hanno ricevuto delle segnalazioni da parte degli abitanti della zona a sud est ?di Sabrata sulla presenza di gruppi di tunisini legati all’Is, in una grande casa in campagna. Abbiamo deciso di fare irruzione. Ci siamo trovati di fronte cecchini pronti a sparare e quando siamo entrati due ?di loro si sono fatti esplodere uccidendo sei nostri uomini. Non potevamo sapere che nella casa accanto erano trattenuti gli italiani. Per questo dopo l’azione siamo andati via».

Secondo l’ultima ricostruzione di Hussein Dhawadi, il giorno dopo quel blitz, una colonna di macchine sarebbe stata vista uscire ?da una casa limitrofa a sud di Sabrata. «Abbiamo subito sospettato fossero foreign fighters tunisini ?in fuga, gli stessi che avevano sgozzato i nostri soldati la settimana prima. Non avevamo la minima idea che avessero con loro due dei rapiti italiani».

Per Dawhadi i nostri due connazionali sarebbero ?stati uccisi dai loro carcerieri, prima dello scontro con le forze locali e le forze antiterrorismo Rada. E i due sopravvissuti, il giorno dopo avrebbero rotto ?la porta, bussato ?ai vicini da cui sarebbero stati accolti fino all’arrivo delle forze speciali ?di Sabrata che li hanno condotti in Comune.
«Dopo il raid americano, abbiamo istituito una camera di operazione congiunta contro l’Is, per dare la caccia ai miliziani tunisini. Possiamo affermare con certezza che ?il gruppo che aveva in mano gli italiani fosse collegato all’Is. Stiamo interrogando Youssef Yahyah, l’uomo che guidava ?la macchina il 20 luglio, ?giorno dei rapimento, che ?sta rilasciando dichiarazioni importanti, ma per ora più ?di questo non posso dirvi».

Secondo fonti locali sarebbe proprio l’autista ad aver tradito e venduto i 4 italiani, e avrebbe intascato parte del riscatto che sarebbe stato pagato nei mesi scorsi per la liberazione degli ostaggi. Facendolo sparire.
Il capo libico dell’Is è Abdullah Dabbashi. Il clan Dabbashi ?è così potente che il cugino ?di Abdullah, Ibrahim, ?è addirittura ambasciatore ?libico alle Nazioni Unite. ?I clan avrebbero coperto per mesi i miliziani dell’Is, che dovevano rafforzare le proprie fila, fino a raggiungere un numero di uomini sufficiente per prendere la città.
Sabrata ha interessi economici da tutelare. A pochi chilometri c’è il compound dell’Eni, ?che nonostante la guerra ?civile e gli scontri tra clan, ?non ha mai smesso di lavorare.

E a questo proposito ?il sindaco Dawhadi è sibillino, ma chiarissimo: «Gli italiani per noi sono amici e partner, abbiamo difeso e difenderemo il compound dell’Eni con le nostre milizie, perché vogliamo continuare a difendere i nostri e vostri interessi economici. Ma niente truppe in Libia, se volete aiutarci prendete i nostri feriti e curateli, addestrate ?i nostri soldati, ma niente attacchi su suolo libico perché in quel caso il nostro patto ?non reggerà». Come a dire: collaboriamo e proteggiamo Mellitah purché non ci sia nessun intervento militare. ?In caso contrario, tutto può succedere.

La zona di Sabrata sarebbe ?da tempo controllata da unità delle forze speciali italiane. Secondo i soldati di Abdulauf Kara, il discusso leader salafita a capo delle forze antiterrorismo Rada, alcuni nostri uomini avrebbero addirittura incontrato i 4 rapiti a dicembre, proprio nelle ore decisive per il pagamento dell’ultima parte del riscatto.

Non solo, lo stesso Kara, ?la cui milizia presidia il carcere nell’aeroporto di Mitiga dove sono trattenuti i miliziani ?Is arrestati, sostiene che ?un miliziano di Sabrata ha confessato che i quattro non ?si sono mai spostati dal luogo del rapimento nel corso ?di questi mesi.