
De Oliveira, per lo scandalo Petrobras è stato addirittura chiesto l’arresto di Lula. E gli attacchi contro l’ex presidente sono ogni giorni più numerosi...
«Se non accetterà l’invito della presidente Dilma Rousseff a diventare ministro, Lula corre un serio rischio di finire in galera. Ma sembra che non lo farà. Vogliono impedirgli di candidarsi alle presidenziali del 2018, ma soprattutto di continuare a comandare nell’ombra. Se cadrà, Dilma seguirà lo stesso destino».
Lula è stato in questi anni un consigliere ombra della Rousseff?
«Sì ed è stato l’errore più grande che abbia commesso. Per un uomo del suo prestigio e della sua forza deve essere stata una tentazione irresistibile. Ora però se ne vedono le conseguenze. Gli attacchi rivolti alla Rousseff (che a sua volta rischia l’impeachment, ndr.) sono in realtà contro Lula: tutti sanno che è ancora lui a comandare».
Che opinione ha della Rousseff?
«Lula non avrebbe mai dovuto sceglierla come successore. Non ha forza politica, anche se non è certamente corrotta».
Lula lo è?
«Non credo. Non è così idiota anche se ha sbagliato durante la presidenza a farsi promotore delle imprese brasiliane. Un politico nazionale e internazionale come lui non avrebbe mai dovuto immischiarsi negli affari».
Pensa realmente che Lula possa essere arrestato?
«No. E comunque il Supremo tribunale federale di ultima istanza casserebbe l’arresto. Ma l’opposizione avrebbe ottenuto comunque il suo scopo: allontanarlo dalla scena politica».
Sembra che gli attacchi stiano avendo un effetto contrario: l’ex presidente ha riacquistato una certa popolarità.
«L’opposizione sta giocando con il fuoco. Il Brasile ha un debole per i martiri. Lula potrebbe usare questa strategia per riacquistare popolarità, ma solo a corto temine, perché a lungo le accuse di corruzione lo logoreranno e gli toglieranno l’aura di uno che non è mai stato sospettato di corruzione per quattro decadi».
Come sono i suoi rapporti oggi con Lula?
«Non sono più in contatto con lui. Quando eravamo universitari, cercavamo una formula che unisse intellettuali e lavoratori. Lula era una scoperta. La sinistra intellettuale entrò con lui in estasi. Incarnava alcune idee di Marx. Era un operaio con una visione per trasformare il mondo. In realtà non voleva trasformare il mondo e non l’ha fatto. Ha preferito essere accettato dall’élite, anche perché deve aver pensato che, se avesse fatto qualcosa di diverso, sarebbe stato deposto. Sfortunatamente la politica brasiliana continua a muoversi nello spazio circoscritto dalla dittatura».
Lula quindi non è mai stato progressista?
«Lula è molto conservatore. Non c’è stato nulla nei suoi due mandati presidenziali che possa essere considerato anticapitalista. Ha certamente creato un movimento di massa importante, ma per riaffermare il capitalismo non per esserne contro. Il lulismo non ha la stessa forza, ad esempio, del peronismo, che continua ad avere forti contenuti antiborghesi e ideologici, perciò la sua rilevanza persiste nel tempo. Il peronismo ancora esiste in Argentina, ma il lulismo non ha la stessa consistenza ideologica e, credo, scomparirà, anzi sta già scomparendo, nel momento in cui Lula uscirà di scena».
Crede che l’impeachment contro la Rousseff riuscirà?
«Sarò forse eccessivamente ottimista, ma non credo che la manovra delle minoranze riuscirà».
A ottobre si terranno le elezione amministrative e nel 2018 quella presidenziale. Quali sono le sue previsioni?
«Il Pt è in liquidazione. Ha perso la capacità di mobilitare le masse da molto tempo. Neanche Lula riuscirà a rimetterlo in piedi. Nelle amministrazioni è ancora ben strutturato e in qualche realtà locale potrebbe anche reggere. Ma le presidenziali sono un’altra storia, sono sempre un enigma in Brasile».
Nemmeno nel caso non fosse travolto dall’inchiesta giudiziaria Lula avrebbe chance nel 2018?
«Lula si trova su un piano inclinato senza possibilità di recupero. Sta minacciando di candidarsi, ma politicamente potrebbe non reggere fino al 2018; e se si presenterà, vi giungerà logorato dalle accuse di corruzione. La sua candidatura sarebbe fatta a pezzi dall’opposizione che farà blocco contro di lui. Fernando Haddad (Pt), la possibile alternativa, non ha una risonanza nazionale, la sua popolarità si limita a San Paolo. Anche l’opposizione non ha un candidato. Quelli che hanno sono deboli. Il Brasile è privo di leader alternativi, la disarticolazione politica è su entrambi i lati».
L’opposizione, il Psdb (socialdemocrazia), chi potrebbe schierare?
«José Serra desidera correre per l’ennesima volta. Ha una storia che parte da sinistra. È un economista, parla sempre “cifre alla mano”. Qualsiasi candidato del Pt che si confrontasse con lui rischia di perdere, incluso Lula che pure l’ha sconfitto per due volte».
Serra ha proposto una legge con cui vorrebbe togliere alla statale Petrobras il monopolio del pompaggio petrolifero del Presal (enorme giacimento in mare). E l’ha fatto proprio ora che è definitivamente esploso lo scandalo delle tangenti di Petrobras...
«È un orrore. Serra vuole eliminare il monopolio della Petrobras. Sicuramente le multinazionali del petrolio stanno ridendo in questo momento».
Professore, lei crede che le multinazionali petrolifere siano dietro lo scandalo?
«Non so. Però noto che Fernando Henrique Cardoso, dello stesso partito di Serra, avrebbe voluto privatizzare la Petrobras quando era presidente».
È convinzione diffusa che Cardoso e Serra abbiano ricevuto denaro dalle multinazionali petrolifere per privatizzare la Petrobras. Lo ritiene possibile?
«Bisognerebbe avere le prove ma tutto lascia credere che sia così. Gli americani non hanno mai accettato che Getúlio Vargas (altro ex presidente, ndr.) abbia statalizzato la Petrobras. Dietro le crisi come quella che sta vivendo oggi il Brasile si vede sempre l’ombra delle multinazionali. Conosco Cardoso da vicino, nessuno lo accusa di essere corrotto perché appartiene all’élite. Ma è corrotto così come i governi formati nei suoi due mandati. I due ministri che ha avuto a capo delle privatizzazioni delle aziende pubbliche, Sèrgio Motta e Mendonça de Barros, sono stati degli autentici banditi. Però purtroppo in questo Paese, per la cultura di rispetto che c’è verso i potenti, è difficile dire che un ricco appartenente all’élite è un corrotto».