Giornali e politica. Tanti giornali: locali, localissimi, periodici. Ma mancava un quotidiano. In quella tipografia alla periferia di Salerno, uscita Pontecagnano dell’autostrada A3, il sogno a occhi aperti consisteva nel poter stampare un quotidiano nazionale. Metà degli anni '70 del secolo scorso. Orazio Boccia era un imprenditore visionario. Coltivava con determinazione la sua ambizione: diventare lo stampatore, lì nel profondo Sud, di un giornale importante. “l’Unità” di Berlinguer in quegli anni lo era. Gli sarebbe piaciuto, d’altra parte lo leggeva quasi tutti i giorni. Doveva invece accontentarsi di stampare tanto materiale di propaganda del Partito comunista, manifesti, volantini, depliant, che puntualmente il Pci non gli pagava. Sotto quei capannoni però aleggiavano le figure di Maurizio Valenzi, Gerardo Chiaromonte, Giorgio Napolitano, Giorgio Amendola.
Orazio, come comunemente veniva chiamato, solo con il nome di battesimo, aveva un rapporto speciale con i suoi dipendenti, appena una decina. Era stato uno scugnizzo, cresciuto nell’orfanatrofio di Salerno, il “Serraglio”, vita dura e amara. Aveva imparato lì il mestiere del tipografo; prima una botteguccia nel centro storico, poi lo stabilimento moderno, grande, sempre più grande. Un po’ alla volta aveva assunto i suoi compagni di infanzia, quelli del “Serraglio”, costruendo insieme alla fabbrica una comunità umana e professionale unica. Si comportava da padrone e da sindacalista al tempo stesso, da dirigente politico e da padre di famiglia. Lo ascoltavi a lungo, un affabulatore, capace di raccontare, partendo dalla qualità della carta per le riviste, le ingiustizie della vita.
Ho iniziato a respirare il sapore dei giornali proprio nella tipografia di Orazio Boccia. Insieme ad Antonio Polito, oggi vicedirettore del “Corriere della sera”, correggevamo le bozze di un quindicinale, “La Voce della Campania”. Anni 1974/75. Nostro compagno di viaggio Matteo Cosenza, che ha poi diretto “il Quotidiano della Calabria”. Altri giovanissimi aspiranti giornalisti, come Michele Santoro, o economisti come Massimo Lo Cicero, o sociologi come Domenico De Masi si cimentavano con i caratteri di piombo battuti dalle linotype.
Quel variegato mondo, giornalisti, politici, intellettuali, ma anche commercianti, funzionari pubblici, piccoli imprenditori, quelle loro idee spesso contraddittorie, hanno rappresentato “il più efficace dei master” per Vincenzo Boccia, il figlio 52enne di Orazio, designato prossimo presidente di Confindustria: si insedierà ufficialmente il prossimo 26 maggio. Lo ha raccontato lo stesso neo-presidente degli industriali a “l’Espresso”, in un articolo di Sabina Minardi.
Orazio Boccia nel 2008 fu nominato Cavaliere del lavoro dal capo dello Stato Napolitano. Già da una decina d’anni da una rotativa delle sue Arti Grafiche usciva fresco di stampa un quotidiano, “La Città”, che stampa tuttora. E’ il primo giornale di Salerno e della sua vasta provincia. Gli mancava però ancora il grande quotidiano nazionale. Il sogno di una vita si realizzò nel 2004; da una flexo supertecnologica e silenziosa come un computer in una piovosa sera di primavera furono stampate le prime copie dell’edizione napoletana di “Repubblica”. Così per dieci anni. Enzo con il fratello Maurizio tutte le notti ad aspettare il nuovo giornale. “Così mi trovo sempre con 24 ore d’anticipo, nel lavoro e nella vita” ama raccontare con un pizzico di compiacimento il nuovo presidente degli industriali. Gli tocca un’eredità di difficile gestione. No, non quella dell’azienda di famiglia. Quella continua a stampare tutto ciò che è stampabile. L’eredità gravosa è proprio quella per cui Boccia si è battuto in questi mesi, la Confindustria. In crisi di autorevolezza, idee e rappresentanza. Con un bilancio mostruoso sulle spalle: 500 milioni di costi solo per l’apparato centrale. Inoltre l’influenza di Confindustria sulla politica nazionale è andata calando di pari passo alla sua capacità di offrire prospettive di crescita e di sviluppo del paese. Un’impresa non da poco. Anche per chi è cresciuto sin da bambino tra giornali e politica.