Le regole del Daesh: "Le donne vanno comprate con un'offerta in busta chiusa". Regole rigide anche per l'abbigliamento: niente gonna e cappotto, vestito degli ebrei e dei cristiani
Il sesso ai tempi del califfato è materia da trattare secondo le regole della sharia. Non è un mistero: le donne sono merce di scambio. La burocrazia dello Stato Islamico ha regole per tutto: dall’amministrazione della giustizia, all’acquisto di auto; dall’organizzazione dei corsi universitari, al computo degli incassi dei traffici di greggio. Anche il commercio di “sabaya”, le schiave del sesso, è strettamente regolamentato dalla dottrina e dalle indicazioni dei religiosi.
Come piccoli travet che amministrano la sessualità, gli imam di Daesh hanno stabilito una regola precisa diffusa con una nota dal governatorato di Homs a tutte le wilayat (una sorta di amministrazione provinciale) sotto il controllo delle bandiere nere. Le donne – spiega il documento – vanno comprate dopo aver formulato un’offerta in busta chiusa. I miliziani che vogliono usufruire di questi servigi di natura sessuale si devono registrare presso il battaglione dove sono schierati o nel settore delle città dove vivono e lavorano. Tutti i documenti relativi all’amministrazione dello Stato Islamico sono stati raccolti da Aymenn Jawad Al-Tamim, un ricercatore della Oxford University.
Nelle note analizzate dal ricercatore, si scopre come il Califfo stabilisca regole precise: “Per quanto riguarda i fratelli che svolgono 'ribat' in prima linea, il coordinamento sarà fatto con l'emiro del battaglione e sarà successivamente trasmessa al funzionario di amministrazione entro dieci giorni al massimo dalla data del presente bando”. Le disposizioni sono severe e non ammettono eccezioni: “Chi non registra il suo nome non ha diritto a partecipare al mercato delle schiave”. L'offerta deve essere presentata in busta chiusa e il vincitore è obbligato ad acquistare. Tutto avviene sotto il controllo dell’amministrazione militare. Ringraziando Allah, perché il documento che stabilisce le regole del mercato del sesso si conclude con l’esortazione: Allah è il garante di successo.
Ecco la fine che fanno le ragazze e le donne che desiderano aderire alla causa del Califfato. Certo, tra loro c’è chi vuole combattere in prima linea e ci riesce. Ma la stragrande maggioranza delle donne che arrivano sul suolo siriano-iracheno è destinata a dedicare l’anima, e soprattutto il corpo, alla meno nobile delle cause dei mujaheddin. Dalla Francia alla Gran Bretagna, dalla Spagna al Cile, centinaia di donne si sono recate in Siria.
Solene Przybylak è una ragazza francese. E’ scappata dal suo paese ancora minorenne e ha cambiato il suo nome in Fatima. Ha attraversato Italia, Balcani e Turchia per raggiungere il marito che combatte tra le fila di Jabhat Al Nusra. Il 17 febbraio del 2015, dall’aeroporto di Gatwick, con destinazione Istanbul, hanno preso il volo Shamina Begun, Amira Abase e Kazima Sultana, tre minorenni inglesi. Dovevano ritornare in patria il 21 febbraio, ma non si sono mai presentate all’imbarco. Hanno sposato il jihad. La stessa scelta l’hanno compiuta ad aprile dello scorso anno Sabina Selimovic e Samra Kesinovic, due ragazze austriache di origine bosniaca. Hanno meno di diciotto anni e sin da piccole hanno frequentato la moschea salafita Altum Alem a Leopoldstadt, a Vienna dove predicava Mirsan Omerovic, imam radical che ha diffuso il suo verbo in mezza Europa.
Le due ragazze si sono poi imbarcate su un aereo per Istanbul, da lì si sono dirette ad Adana e dopo tre giorni di viaggio hanno attraversato il confine siriano. Hanno cambiato i loro profili Facebook e hanno assunto nuovi nomi. I genitori non hanno perso la speranza di ritrovarle e sono partiti per la Turchia. Esistono dei gruppi operativi che provvedono a trasferire sul fronte di guerra interi gruppi femminili. Accade in Tunisia, dove decine di ragazze sono pronte al jihad. Una cellula specializzata nel reclutamento di donne per il jihad è stata smantellata a fine 2014 tra Marocco e Spagna. Il gruppo era operativo tra le città di Fnideq e Sebta in Marocco e Melilla e Barcellona. Molte ragazze si sono sottratte all’arresto (marocchine, spagnole e cilene) e potrebbero essere finite al confine siro-iracheno.
GUERRA A GONNA E CAPPOTTOLa vita delle donne ai tempi del Califfo è un incubo ad occhi aperti. Le prescrizioni limitano tutto, anche l’abbigliamento più casto, come un banalissimo cappotto all’occidentale può comportare pene severissime. Lo Stato Islamico non ama la moda e così, con una recentissima nota dello scorso 6 marzo, è scattato l’alert “abbigliamento” nelle università del Califfato. Ecco cosa si legge nel documento: “E' giunta alla nostra attenzione, suscitando il nostro sgomento e rabbia, che alcune studentesse indossano abbigliamento succinto (possibile riferimento a delle gonne) e il cosiddetto cappotto: questo vestito è il vestito degli ebrei, dei cristiani e il vestire dei miscredenti non ha nulla a che fare con l'Islam che è un percorso per la rimozione del vizio e per la modestia”.
Contro gonna e cappotto il califfo ha deciso di schierare le sue truppe: “Quindi noi, i soldati del Califfato orgogliosi della religione di Dio, in guardia contro l'uso di questi vestiti, dopo il rilascio di questa pubblicazione, diamo un termine di 3 giorni solo per avvertire che sarà applicata la sentenza della legge di Dio nei confronti di chi continua a vestirsi in quel modo”. Una minaccia non da poco: “ Le bocche dei nostri fucili sono assetate e noi le placheremo con il sangue di chi ha violato la legge di Dio e ha seguito i seguaci degli ebrei e cristiani”. Le ritorsioni sono previste non soltanto contro le donne ree di vestirsi alla maniera occidentale, ma anche contro i loro parenti: “Non dormiamo sopra l'ingiustizia, faremo arrostire i vostri corpi e noi raccoglieremo le vostre anime. Avvertiamo il padre della studentessa di cambiare i vestiti prima che lui la raccolga in un cestino”.