Anticipiamo l'analisi che Sagnet farà al festival 'èStoria2016'. Fu lui a organizzare nel 2011 il primo sciopero dei braccianti nelle campagne della Puglia. Qui riflette sulle dinamiche tradizionali del fenomeno e su quelle legalizzate, che colpiscono sia i lavoratori italiani sia quelli stranieri

Anticipiamo l'intervento che Yvan Sagnet farà al festival 'èStoria2016' a Gorizia dal 19 al 22 maggio

Secondo il rapporto “Agromafie e Caporalato” prodotto dalla Flai-Cgil nel 2015 sono circa 400mila i lavoratori italiani e stranieri vittime del fenomeno del caporalato nel nostro paese. Una cifra sottostimata se prendiamo in considerazione le altre forme di caporalato legalizzato che definiamo caporalato 2.0 e che operano legalmente all’ombra delle agenzie interinali di lavoro, che ricevono le richieste di lavoro da parte dei privati e dello stato. Il caso più emblematico è quello di Paola Clemente, bracciante italiana deceduta l’estate scorsa, che lavorava ad Andria tramite un’agenzia interinale. Paola veniva trasportata da San Giorgio Ionico nel Tarantino, dove viveva, fino ad Andria, (150 km) dai suoi caporali dipendenti dell’agenzia interinale. Una situazione che dimostra come ormai lavorano le imprese in Italia dove il Caporalato è diventato un fenomeno strutturale del fare impresa e che ritroviamo anche in altri settori della nostra economia tipo i servizi, l’edilizia, il badantato ecc.

Lavoro
Il caporalato e l’agromafia, un’economia illegale da 17 miliardi di euro
13/5/2016
Il caporalato non è un fenomeno strettamente legato agli immigrati, come vuole far credere una certa classe politica, ma è un fenomeno trasversale della nostra società che colpisce sia i migranti che i lavoratori italiani. Le origini del caporalato risalgono alla fine dell’800 ma assumeranno una trasformazione sostanziale con l’avvento della globalizzazione. Infatti, il caporalato non caratterizzava la società contadina pre-industriale, mentre oggi possiamo dire che il caporalato rappresenta il prototipo del modello neo liberista che a partire dalla fine degli anni '90 si è imposto a livello globale. La de-regolarizzazione del mercato del lavoro operata in quegli anni, con lo smantellamento del collocamento pubblico, come avveniva con i centri per l'impiego, hanno rafforzato questo fenomeno. Oggi le imprese italiane non si rivolgono più ai centri del collocamento ma si avvalgono dei caporali oppure delle agenzie interinali, che a loro volta sono una sorta di caporalato legalizzato.

Il caporalato migrante ha preso forma tra la metà degli '80 inizio '90 quando la forte industrializzazione di quegli anni ha fatto sì che molti braccianti italiani abbandonassero il loro lavoro per cercare impiego nelle città. Il caporalato migrante, a differenza di quello che riguarda i lavoratori italiani, assume una forma ancora più arcaica e feroce perché fa leva, per ricattarlo, sulla vulnerabilità della condizione giuridica del migrante. L’agricoltura è un’attività puramente stagionale e questo implica che i braccianti hanno bisogno anche dell'accoglienza per poter risiedere nelle zone dove sono chiamati a lavorare.

Di questa necessità i caporali se ne approfittano anche perché le aziende non mettono a disposizione l'alloggio, come è previsto nel contratto collettivo nazionale del lavoro. Quindi per esempio, i braccianti migranti d’estate sono in Puglia per la raccolta dei pomodori, poi d’inverno sono a Rosarno in Calabria per la raccolta degli agrumi e così via in altre regioni e stagioni. L'assenza di un piano regionale sull’accoglienza dei lavoratori migranti, ha favorito la diffusione in tutto il territorio nazionale di ghetti, vere e proprie baraccopoli che non rispettano le norme in vigore in materia di igiene e di sanità pubblica, dove risiedono i lavoratori stagionali. Il bracciante migrante che dimora in questi ghetti inoltre vive una condizione di isolamento che lo rende totalmente dipendente dal caporale, perché questi ghetti, nella maggior parte dei casi, si trovano distanti dai centri abitati. Quindi, per qualunque necessità ordinaria del bracciante, tipo andare al supermercato, recarsi nei campi di lavoro, o anche, in caso di malattia, andare in ospedale, il bracciante deve corrispondere al caporale una tassa di 5€ per il trasporto. Durante le pause di lavoro per il pranzo, il caporale costringe il bracciante a pagare per un panino e per l’acqua, rispettivamente 3,50€ e 1,50€, che sommati al costo del trasporto, fanno un totale di 10€. Ecco che il bracciante si trova costretto a decurtare un terzo della sua paga giornaliera, che spesso non supera i 30€ al giorno.

Nell’agosto 2011, insieme a molti compagni di lavoro, abbiamo organizzato il primo sciopero dei braccianti stranieri contro i caporali e gli imprenditori agricoli nelle campagne di Nardò in Puglia. Sembra impossibile da credere, ma il caporalato, ovvero l’intermediazione illecita di manodopera, è punibile penalmente soltanto dal 2011 proprio in seguito alla nostra battaglia nelle campagne pugliesi. Questa legge penale contro il Caporalato, che ha rappresentato un eccezionale risultato, rimane purtroppo inefficace e ha bisogno di essere completata perché non colpisce l’impresa, che è il vero responsabile del reato. Il caporalato non è che l’ultimo anello di una lunga catena di sfruttamento nella filiera agricola, mentre i principali responsabili sono le imprese, le industrie di trasformazione e la grande distribuzione organizzata, che impongono il ribasso dei prezzi dei prodotti, con drammatiche ricadute negative sui contadini, i quali non riescono più a sostenere il costo del lavoro. A pagare il prezzo di questa situazione sono i braccianti, abbandonati totalmente dallo Stato che non effettua controlli nei luoghi di lavoro né lungo la filiera.

Per citare Marx, la figura del caporale è l'espressione diretta di quella cultura che vuole le imprese come cuore pulsante della società, il mercato come unico regolatore sociale e il lavoro come merce, il tutto condito con una buona dose di corruzione e di illegalità.

Per contrastare il caporalato e l’illegalità generalizzata serve una presa di coscienza culturale. Dobbiamo passare dalla logica del mercato e del profitto a tutti i costi, e rimettere l’uomo e i suoi diritti al centro di ogni cosa; su questo oltre allo Stato, anche il consumatore dovrebbe assumersi le sue responsabilità.



Yvan Sagnet è laureato in Ingegneria delle Telecomunicazione al politecnico di Torino, è stato il leader del primo sciopero dei braccianti stranieri contro i caporali e gli imprenditori agricoli nelle campagne di Nardò in Puglia nell’agosto 2011. Grazie a quello sciopero fu approvato in Italia dopo decenni la Legge penale contro il Caporalato. Ha pubblicato Ama il tuo sogno e Ghetto Italia (Fandango), attualmente è sindacalista e lavora per la Flai-Cgil. Nel 2016 ha ricevuto il Premio Internazionale “Rosario Livatino /Antonino Saetta/ Gaetano Costa.

L'incontro Italia del caporalato si svolge domenica 22 maggio alle ore 18.30  presso i giardini pubblici di corso Verdi. Intervengono: Yvan Sagnet, Stefano Mensurati, Fabio Ciconte