Uno studio dimostra che il fattore economico  non è decisivo. I combattenti per l’Is partono  dai paesi dove l’integrazione è più difficile

Trentamila volontari da 85 Paesi sono andati a combattere nello Stato islamico dell’Iraq e Siria (Is). Non si tratta solo di musulmani provenienti dai paesi arabi (6000 dalla sola Tunisia), ma anche dall’Europa: 1700 dalla Francia, 760 dalla Germania e altrettanti dal Regno Unito, per arrivare agli 87 dall’Italia. Dai tempi delle Brigate internazionali della guerra civile spagnola non si vedeva un simile reclutamento. Il fenomeno - preoccupante in sé - diventa ulteriore motivo di allarme per le ripercussioni terroristiche. Abdelhamid Abaaoud, ritenuto il leader della cellula che ha scatenato il terrore a Parigi lo scorso novembre, aveva visitato la Siria ed era ritornato radicalizzato in Francia, dove aveva reclutato una rete di complici per l’attacco. Questo reclutamento internazionale, quindi, non ha conseguenze solo per la stabilità del Medio Oriente, ma anche per la sicurezza interna dell’Europa. Ragione di più per capirne le cause. Cosa spinge questi giovani occidentali ad arruolarsi in uno stato medioevale e diventare ambasciatori di morte in tutto il mondo?

In molti - a partire dall’economista francese Thomas Piketty, famoso per i suoi studi sulla disuguaglianza - hanno puntato il dito su cause economiche: la povertà delle periferie in cui molti di questi musulmani vivono, la disoccupazione, la disuguaglianza. Ma finora nessuno aveva analizzato in modo sistematico questo fenomeno.
In un recente lavoro della Northwestern University1 si prova a rispondere a questa domanda guardando ai dati. Ovviamente il numero di reclute è più elevato nei paesi più grandi e con una più vasta popolazione di religione islamica. Ma se guardiamo al rapporto tra volontari e musulmani residenti, troviamo delle interessanti sorprese. Il paese con il più elevato rapporto è la Finlandia (ben 1590 volontari ogni milione di musulmani), seguito dall’Irlanda (724), Belgio (699), Svezia (631) e Austria (619). Per fortuna, l’Italia è solo trentasettesima nella lista con 54.5 volontari per milione. Ultimi, Pakistan ed India con rispettivamente 0,4 e 0,1 volontari per milione.

Questa classifica è sufficiente da sola a farci capire come la proporzione di combattenti Is non sia correlata al reddito pro capite del paese. Non è neppure correlata al livello della disoccupazione, se restringiamo il campione ai paesi non a maggioranza musulmana. Né alla disuguaglianza: Finlandia, Svezia, Danimarca e Norvegia sono famose per il livello relativamente omogeneo della ricchezza interna e per l’alta qualità dei servizi sociali. Ciononostante si trovano tutte in cima alla lista, come luoghi natali dei futuri terroristi. Quasi l’opposto si può dire per Spagna, Portogallo, Italia e Romania. Eppure questi paesi non sembrano un terreno fertile per il reclutamento dell’Is e finiscono in fondo alla lista. Perché?

Una possibilità è la diversa storia delle comunità musulmane nei vari paesi. Lo stereotipo del volontario Is non è il recente immigrato, ma il figlio di immigrati che cresce alienato in una terra che, nonostante la cittadinanza, considera straniera. Se così fosse, il numero di volontari crescerebbe con il numero di musulmani presenti 25 anni fa. Ho chiesto agli autori dello studio di controllare per questa ipotesi e gentilmente lo hanno fatto. Effettivamente nei paesi non musulmani la dimensione della popolazione musulmana nel 1990 è correlata positivamente al numero di volontari Is, anche dopo aver controllato per la dimensione attuale della popolazione musulmana. Ciononostante l’Italia rimane straordinaria per il basso tasso di volontari.

Il principale fattore che riduce il reclutamento Is è la diversità etnica di un paese. Questo risultato sembra puntare nella direzione di un’alienazione culturale. Tanto più un paese è omogeneo (per esempio Finlandia), tanto più i musulmani stentano ad integrarsi e sono facile preda delle sirene dell’Is.

Secondo le statistiche ufficiali l’Italia è un paese molto omogeneo, ma noi sappiamo come sia frammentato da molti localismi. Paradossalmente potrebbero essere proprio questi campanilismi a rendere meno difficile integrarsi anche a chi al campanile preferisce il minareto.