Abbiamo scelto al primo turno quelli modellati sui nostri desideri. Ora tocca decidere per un sindaco che accudisca l’Urbe come un bambino complicato

Un comizio di Virginia Raggi durante la campagna elettorale. Foto di Gianni Cipriano per l'Espresso
Diciamo sempre che il Pd ha un talento speciale nello sbagliare le candidature. Che spesso ci hanno costretto a votare uomini e donne che non corrispondevano neanche al criterio minimo per essere considerati di sinistra, cattolici integralisti, omofobici, razzisti, fuoriusciti da partiti innominabili. Ma Roberto Giachetti era perfetto.

Abbastanza competente della “macchina romana”, peculiare, per non dire celebre per la sua zozzaggine. Insomma uno che sa dove mettere le mani, ma onesto, serio, e neanche troppo interno al Pd. Età giusta, faccia simpatica, una campagna elettorale porta a porta, nelle periferie, una squadra di assessori perfetta, nessuno scheletro da nascondere… insomma, che cosa aveva Giachetti che non andava? Il Movimento 5 stelle ha preso moltissimi voti, è vero. Ma ne hanno presi molti anche Meloni e Marchini, settemila persone hanno persino votato Adinolfi e il suo partito della Famiglia, qualunque cosa significhi.

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Se avessimo avuto venti, settanta, trecentoventicinque candidati a sindaco di Roma, li avremmo votato tutti? Probabilmente sì. Cercando con attenzione, o più probabilmente disattenzione, quello che ci somigliasse di più. Che ci fosse più simpatico, che proponesse le cose più utili al nostro quartiere. Non è quindi tanto la presentabilità che ci preoccupa, ma la fratellanza. Tendiamo a scegliere il nostro rappresentante politico con lo stesso criterio con cui scegliamo un amico. Cerchiamo uomini e donne che abbiano uno stile di vita simile al nostro, parlino come parliamo noi si vestano e si comportino come noi. L’anti-politica è più o meno questa cosa qui.

Il criterio della rappresentanza sarebbe infatti basato non sulla singola persona, o almeno non soltanto, ma sulla fiducia risposta in un modo di pensare condiviso. Non tanto perché un’idea sia migliore di una persona, ma perché le persone sono molto più complicate delle idee. Se il mio criterio è trovare qualcuno che mi somigli, posso andare avanti all’infinito cercando una persona migliore, proprio come ci accade nella vita. Ci sarà sempre qualcuno con cui i punti di contatto sono maggiori, che mi fa più ridere, o fisicamente mi sembra più giusto. Di selezione in selezione, se il criterio rimane quello della affinità, finiremo per aver bisogno non di qualcuno che ci rappresenti. Politici come sex dolls modellate sui nostri desideri, una democrazia 1:1, a patto che quella roba lì si chiami democrazia.

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Adesso però il primo turno, quello del candidato/sex dolls è passato. Per quanto ci risulti complicato farlo, dovremo scegliere tra due persone soltanto: Virginia Raggi e Roberto Giachetti. E se nessuno dei due somiglia all’amico/a che avremmo sempre voluto? Molti si asterranno, per questo e altri motivi. Molti diranno “non mi piace nessuno dei due”, e non andranno a votare. E lasceranno che Roma, la città più complicata dell’Occidente, sia governata da qualcuno a caso, pur di non dover scendere a patti con la loro coscienza. Ah, la coscienza… Tanto, potranno sempre pensare, come ha detto Fiorello, che Roma in questi mesi un sindaco non ce l’ha avuto, ed è andata benissimo così. Insomma: questa democrazia non sarà un po’ sopravvalutata? Non sarebbe meglio un bel commissariamento fin quando è necessario? Lo abbiamo pensato tutti, ammettiamolo.

Ci teniamo l’uomo d’ordine che fa piazza pulita, uno che non è stato eletto e non deve essere rieletto e ci toglie di mezzo mafie capitali, netturbini sfaccendati, autisti dell’autobus coi telefonini, tassisti arroganti. Come se una città fosse una ferita, e bastasse togliere il pus per farla rimarginare. Come se si potesse fare politica una volta per tutte, e poi la nave va da sola. Una città, e Roma in particolare, deve essere accudita, manutesa, seguita passo passo come un bambino complicato. Roma, lo sappiamo, è una città tradizionalmente complicata, riottosa all’addomesticamento e assai semplice da spolpare. Come se avesse aperture neanche troppo segrete dove chi sa può infilare le mani e arraffare. Sembra quasi che per non farlo automaticamente, ci si debba sforzare, trattenersi, e rinnovare il proposito giorno per giorno. Come di fronte a un corpo desiderato chi ci si offra spudoratamente. E oltretutto Roma è reduce da due amministrazioni che l’hanno ridotta quello che vediamo: lurida, deturpata, senza mezzi di trasporto accettabili. Schifata persino dai turisti, che si contentano ormai davvero di poco.

A Roma siamo andati a votare, e voteremo al ballottaggio, con questo carico sulle spalle. Roma l’irrisolvibile, irredimibile, inemendabile zozzona. Ma soprattutto con un grande rimosso: che cosa è successo, davvero, con Ignazio Marino? Siamo andati a votare sapendo che l’ultimo sindaco che avevamo eletto è stato cacciato. In maniera irrituale, goffa, violenta. Ignazio Marino si era dimostrato incapace di governare la città, ma nonostante le continue sollecitazioni, non si dimetteva. Anzi, si arroccava sempre più in posizioni personali che non erano certo utili a rendere Roma un posto migliore. Ma quando è stato accompagnato alla porta, lui ha continuato a gridare di essere stato sacrificato a qualche misterioso potere forte che non sopportava la sua indipendenza, che non poteva reggere la sua rivoluzione, quel cambiamento epocale che tutti noi faticavamo anche solo a intravedere ma che a lui doveva essere evidente.

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C’erano dunque due narrazioni opposte delle stesso avvenimento, ma non erano sullo stesso piano. Perché Ignazio Marino noi lo avevamo eletto, e quindi chi sosteneva che più della sua elezione era legittimo toglierlo da lì, aveva un dovere più serio. Doveva sforzarsi di spiegare, mettere tutto sul tavolo, dire che cosa era successo davvero, nel dettaglio. Abbiamo aspettato. Mentre il commissario si distingueva soprattutto per gli sgombri dei Centri sociali (occupati, per carità, ma poetici e unici baluardi contro la disperazione, in certi quartieri…) noi aspettavamo con pazienza che qualcuno ci spiegasse che cosa era successo. Ma non l’hanno fatto, il Pd non ha saputo spiegare con chiarezza la vicenda Marino.

E quindi, quando sono arrivate le elezioni, molti hanno pensato che c’era il rischio che il prossimo candidato eletto se fosse stato del Pd avrebbe fatto la stessa fine, che il partito, a Roma, era preda di sicari, corsari, filibustieri, gente senza scrupoli appostata nel buio e pronta a saltare addosso a chi avesse l’ardire di ribellarsi a quei misteriosi poteri forti che avevano accoltellato, a suo dire, Ignazio Marino. Forse questo va fatto. Umilmente, in vista del ballottaggio bisognerebbe provare a spiegare che cosa è successo a chi è rimasto sconcertato. Per chi pensa che la politica sia “mandare segnali” “votare contro” o “almeno questi sono nuovi” non mi pare si possa fare granché.