Ha guidato vittoriosamente la campagna di Obama nel 2012, ma in in Spagna ha fallito con Rajoy. E' lui, nell'ombra, a consigliare il premier nella delicata partita del referendum. Ritratto dell'italoamericano che sussurra a Matteo

Jim Messina, ecco chi è il guru che consiglia Renzi

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È l’uomo dei numeri, della matematica applicata alla politica, lo stratega dei flussi elettorali digitali che grazie ai “big data” dovrebbe condurre Renzi e l’irrequieto vascello del Pd alla vittoria nel referendum. Quando a inizio anno Jim Messina, solido ragazzo del West (nato in Colorado nel 1969, cresciuto in Idaho), venne scelto dal nostro premier come consulente sembrò a (quasi) tutti una scelta azzeccata. Chi meglio di colui che aveva guidato la campagna di Obama nel 2012 e che (a sorpresa) era stato assoldato dal conservatore David Cameron poteva plasmare un trionfante percorso (precocemente) annunciato?

Con l’Italia “Big Jim” aveva già un legame affettivo (e non solo per origine). Dopo la vittoria ?di Obama si era preso una lunga vacanza da noi: casa in Toscana, dibattiti a Villa La Pietra (residenza fiorentina della New York University), il fidanzamento ?con Taya Cromley, la psicologa divenuta sua moglie. Nell’estate del 2013, quando a Milano ebbe inizio lo scontro su Uber, di fronte alle minacce dei tassisti Messina ci mise pochi minuti a tirare giù dal letto l’ambasciatore Usa David Thorne che a sua volta chiamò il sindaco Pisapia. E risale a quel periodo il primo incontro (una cena al ristorante Cibreo, dicono i rumors) con Renzi (reduce dalla sconfitta con Bersani alle primarie) e un amichevole approccio che tre anni più tardi lo consacrerà “consulente”.

Nella Roma della politica Jim Messina in realtà non si è visto molto. Nulla di strano per uno che ha condotto la campagna britannica di Cameron (sia nel vittorioso referendum sulla Scozia che nella rielezione del 2015) dalla sua casa di Washington e in tempi più recenti (consigliere last minute di Rajoy) si è visto in Spagna solo di sfuggita. Da Palazzo Chigi fanno filtrare che il clima delle poche e blindate riunioni (con lui presente, solo pochissimi selezionati: Renzi, la Boschi, Luca Lotti, Filippo Sensi, Giuliano da Empoli, Simona Ercolani e Franchino Bellacci) è «senza fronzoli».

E senza troppi fronzoli è la sua vita pubblica. Una storia che nasce in Montana, montagnoso Stato nel Nord-Ovest grande come la Germania (ma con un solo milione di abitanti), dove il giovane Jim incontra il suo “mentore” Max Baucus, senatore democratico poco conosciuto al grande pubblico ma che nei suoi 36 anni al Congresso (1978-2014, da due anni è ambasciatore Usa in Cina) ha intessuto rapporti tentacolari con tutte le lobby che contano. Spregiudicato e cinico come da copione (nel 2002, l’anno in cui la rielezione di Baucus fu più a rischio, non esitò a lanciare uno spot dal sapore omofobico contro l’avversario repubblicano), la sua è stata una rapida carriera segnata (oltre che da Obama) dall’incontro con un secondo “mentore” (Eric Schmidt, Ceo e poi presidente di Google), dalle “visioni’ della Silicon Valley (un colloquio con Steve Jobs pochi mesi prima della morte del fondatore di Apple), dagli stretti rapporti con i manager di Facebook e Twitter.

È in questo habitat che nasce la filosofia dei “big data” e del “door to door”, che sarebbe poi l’italianissimo porta a porta, il bussare di casa in casa (oggi di casella email) per convincere gli elettori. Una strategia che presuppone una grande mappatura politica e socio-culturale del territorio (negli Stati Uniti è possibile, ma in Italia?) e migliaia di volontari che hanno linguaggi, immagini e identità simili alle figure sociali che si vogliono contattare. Perché come Messina ama spesso ricordare (con le parole che gli disse nel 2011 Bill Clinton): «Tutte le elezioni nazionali sono sempre un referendum sul futuro.

Il candidato che riesce ad afferrarlo vince». Riti e odori delle campagne made in Usa oggi gli mancano («ho nostalgia della puzza degli uffici elettorali ?a mezzanotte», disse raccontando di 27 cene consecutive da McDonald’s), la vittoria di Brexit è stato un brutto colpo (resta agli atti ?un suo tweet super-fiducioso a urne appena chiuse), la Spagna non l’ha ancora digerita. E con le elezioni per la Casa Bianca quasi alle porte basta seguire i suoi tweet per capire che il suo interesse è oggi tutto per Hillary Clinton e contro Donald Trump.

Per ridare lustro ad una immagine “internazionale” un po’ sbiadita gli restano Renzi, l’Italia e un referendum, ma lui sembra (per ora) mantenere volontariamente un basso profilo. Anche perché non è che i “guru” americani abbiano mietuto da noi grandi successi. Qualche esempio? l’ex consulente ?di Clinton (Bill), Stanley Greenberg, assoldato da Rutelli nel 2001; Karl Rove?(il geniaccio repubblicano, braccio destro di George W. Bush) chiamato a dare una mano a Berlusconi nel 2006; David Axelrod (il vero mago della campagna di Obama 2008) con Mario Monti ?nel 2013. Risultati? ?Tutte sconfitte.

ha collaborato Cristina Cucciniello

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