Nella crisi del movimento di Beppe Grillo l'ex Grande Fratello è ora regista della comunicazione. E di molto altro. Perché non vi sono ormai aree sulle quali non abbia un ascendente

Nel bel mezzo della bufera che sconvolge il Movimento, lui sembra aver stretto un patto con il demonio. Rocco Casalino, 44 anni, ingegnere elettronico, semidio talebano dell’ortodossia grillina, è infatti oggetto di un fenomeno tutto particolare: più nei Cinque stelle aumenta il caos, e più il suo potere invisibile cresce. Per il capo dei capi della comunicazione M5S, colui che porta nel mondo il verbo di Casaleggio, è una danza sul bordo dell’effimero. Col delirio di Roma, poi: figurarsi. Ma intanto, dai e dai, il suo ruolo pare assurto a parodia dell’investitura di un cavaliere medievale: “Coordinatore della Comunicazione Nazionale, Regionale e Comunale del Movimento Cinque stelle, Portavoce e Capo comunicazione del Gruppo M5S al Senato”. Così recita la più recente definizione ufficiale di ciò che fa, da lui diffusa a destra e a manca. Accipicchia.

Non vi sono ormai aree del movimento sulle quali Casalino non abbia un ascendente. Via via s’è fatta universale, tra i parlamentari, la platea di quelli che rispondono: «Chiedi prima a Rocco». C’è chi arriva a definirlo spin doctor, chi al contrario argomenta l’incapacità a grandi strategie. Ad ogni buon conto, lui parla poco, scrive ancora meno - vanta sei lingue straniere, gli invidiosi sostengono zoppichi giusto in italiano - ma via WhatsApp si fa intendere alla perfezione.

La sua missione di penombra corre parallela a quella più arruffata e allegra del popolo dei militanti, e in fondo anche degli eletti: mentre gli altri festeggiano o discutono, conquistano voti o li perdono, lui - l’anima oscura - se ne sta dall’altro lato della sala, pronto a mettere in scena il prossimo gioco, il prossimo espediente. Una volta è la gara del silenzio o l’arte della fuga, come nei giorni più neri del caso Muraro, quando non si trovava parlamentare disposto a dire alcunché; un’altra è l’effetto uomo invisibile, come accadde al senatore Alberto Airola nei momenti difficili delle Unioni civili, quando Casalino in pratica lo fece sparire dai radar; in taluni casi speciali - come per esempio quando scoppiò il caso di Quarto - sono pure i quattro cantoni, anzi tre (Di Maio, Fico, Di Battista), spediti contemporaneamente su diverse reti tv a parare i colpi. Quale che sia quello prescelto, il gioco sarà eseguito con cortese e spietata determinazione. Perché Casalino, col suo passato trash tra scuderia di Lele Mora e litigate in tv, notorietà e oblio, ha un passo cinico che gli dà una misura d’assoluto in ciò che fa. Se tace, se mente, se giura vendetta: indietro non torna.
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Del resto è così, raccontano, che entrò nelle grazie di Gianroberto Casaleggio: con una esibizione di fedeltà talmente marcata da non poter esser ricambiata altro che con incondizionata fiducia. Anche se poi altri, nemici del popolo di certo, la spicciano così: «È solo ruffianeria». Ha funzionato alla perfezione, comunque. Casalino è alla fine il più longevo dei comunicatori, li ha fatti fuori tutti: Caris Vanghetti, il primo che introdusse i grillini alla Camera, Daniele Martinelli, che durò pochissimo, e poi Nicola Biondo, Claudio Messora, di cui cominciò come vice.

Pugliese nato in Germania, cresciuto e diplomato nella bianca Ceglie Messapica (Brindisi), laureato a Bologna, ha vissuto dieci anni a Milano e per questo tutt’ora si definisce milanese. È stato marchiato a fuoco dalla partecipazione alla prima edizione del Grande Fratello, quella condotta da Daria Bignardi. I Cinque stelle sono la sua seconda, o terza, incarnazione, ma la televisione è da sempre il suo specchio, la telecamera il suo metro. Ai tempi del GF Casalino l’ha subìta: poi ha lavorato per dominarla. Ci ha messo quindici anni a passare da uno status all’altro e oggi è lui a concedere la presenza del grillino in un certo studio televisivo, o evento giornalistico in genere.

Esempi a iosa, dei suoi diktat o “regolette” memorizzati da autori e giornalisti: «pollaio mai», «niente contraddittorio», «per i big solo faccia a faccia», fuori gli altri ospiti, in studio ce ne possono essere «massimo tre», «massimo quattro»; il Cinque stelle deve essere l’unico di opposizione; e comunque per i politici, come per i giornalisti, vi è una black list di indegni (per esempio personaggi come Daniela Santanché e Maurizio Gasparri sono vietatissimi).

Raccontò Casalino al “Quotidiano di Puglia”, nel lontano 2000, che nella casa del Grande Fratello, «le telecamere rappresentavano qualcosa di soprannaturale, un dio che ti controlla». Di qui l’evoluzione: nella vita dei Cinque stelle, ora è Casalino che controlla. In un completo capovolgimento di fronti (da controllato a controllore) di uno che da ragazzo ha dato la propria vita in pasto alle telecamere e adesso, per contratto, manda in televisione le facce e le reputazioni altrui. Con l’ambizione finale di essere diventato lui, il grande occhio che tutto vede e giudica. Un semidio, appunto.

Ce ne è abbastanza, per abbozzare la trama di una specie romanzo di formazione, tra reality, social e blog? E dire che tante volte Casalino ha invocato il diritto all’oblio: «Non giudicatemi per quello che sono stato, ma per quello che sono». Eppure, altro che inchiodarlo: il passato è la sua chiave di volta, è ciò che l’ha mandato avanti. Altro che ingegneria. Tanto più che poi lui quasi sempre di televisione si è occupato: oltre a Mediaset, ha lavorato per Vero Tv, Telenorba, Telelombardia.

Quando approdò ai Cinque stelle, se ne giustificò: «Sono un giornalista televisivo, purtroppo, e questo mi porta a dover andare spesso in televisione: sono praticamente in onda da dodici anni tutti i giorni, solo che su televisioni minori», chiariva nel dicembre 2012, quando il Movimento lo rifiutò come candidato in Lombardia. Ancora, in effetti, discettava di ex grandi amori cubani davanti alle telecamere di Vero tv, chiarendo di aver “capito che mi innamoravo senza razionalizzare”. Con la calata a Roma, appresso a Vito Crimi, dal 2013 in poi ha smesso. Conquistandosi la fiducia dei Casaleggio e anche, di riflesso, quella del cofondatore Grillo (che lo chiama “Casa”) al punto - dicono - da convincerlo ad andare ospite da Vespa, nel 2014, e riuscendo poi persino a non farsi poi cacciare per il madornale errore strategico e comunicativo. Che poi era solo l’inizio di una serie: visto con gli occhi di oggi, una bazzecola.