Educare i bambini all’ascolto? Oggi è una colpa

Una foto, pubblicata sui social, che ritrae alcuni bambini inginocchiati durante una visita a una moschea. Tanto è bastato per scatenare un’ondata di polemiche, soprattutto politiche, contro la scuola cattolica dell’infanzia “Santa Maria delle Vittorie” di Ponte della Priula, in provincia di Treviso. Sotto accusa, la decisione della direttrice Stefania Bazzo di accompagnare i piccoli studenti al centro islamico “Emanet” di Susegana per un’attività didattica e un progetto educativo basato sull’incontro tra culture e religioni diverse. Si erano inginocchiati senza nessun indottrinamento o costrizione, ma perché l'imam Avnija Nurcheski aveva illustrato ai piccoli come avviene la preghiera rituale da compiere cinque volte al giorno.

 

"La nostra è una scuola cattolica, la nostra identità è chiara. Ma siamo anche una realtà multiculturale, dove circa il 30 per cento dei bambini proviene da famiglie musulmane. Aprirsi al dialogo per noi non è una rinuncia, è coerenza educativa", spiega Bazzo.

 

La scuola porta avanti un progetto formativo che mette al centro la persona, con l’obiettivo di sviluppare pensiero critico e rispetto. Sono diverse le attività interculturali che coinvolgono bambini e famiglie: dai mercatini di Natale ai laboratori culinari, dalle letture in più lingue ai racconti delle tradizioni familiari. "Vogliamo che i bambini conoscano anche la religione degli amici musulmani, in uno spirito di reciprocità: tu ascolti me, io ascolto te".

 

La direttrice ammette di non aver previsto la tempesta mediatica. Il fatto che l’immagine maggiormanete circolata sia stata estrapolata da un contesto educativo più ampio ha, secondo lei, distorto il senso dell’iniziativa. "Siamo rimasti amareggiati. Non ci siamo sottratti al dialogo, ma in pochi hanno chiesto di capire prima di giudicare".

 

La parola “indottrinamento” è tornata più volte nei commenti indignati. A questa accusa Bazzo risponde con convinzione: "È proprio la conoscenza del diverso a essere l’antidoto all’indottrinamento. Chi cresce curioso e aperto non è facilmente manipolabile. Noi vogliamo dare strumenti, non dogmi".

 

La comunità scolastica, racconta, ha invece risposto con compattezza e fiducia. Nessun genitore si è opposto all’iniziativa, nessuno è stato obbligato a partecipare. E anzi, molte famiglie – di ogni provenienza – hanno espresso gratitudine per il progetto. "Ci ferisce che tutto questo clamore sia nato sulla pelle dei bambini. Noi lavoriamo per costruire ponti, non per alzare barriere. Alimentare la paura è l’opposto dell’educare".

 

Nessun contatto diretto, finora, con il ministro Valditara, ma la scuola ha inviato una relazione all’Ufficio scolastico regionale per illustrare l’esperienza, motivarne gli obiettivi, raccontare ciò che realmente è accaduto. "Ci piacerebbe dialogare con altre comunità educanti sul tema della multiculturalità. Confrontarci, crescere insieme. Perché l’educazione alla pace non può essere un atto solitario". Intanto, tra i banchi, la vita va avanti. I bambini continuano a essere curiosi, a farsi domande.  Forse non sanno ancora che cosa significhi essere al centro di una polemica politica, ma di sicuro sanno che si può pregare in tanti modi.

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