

Nelle centoventicinque pagine la scrittura è di getto, il fiato corto, c’è la velocità di come parla lei che sembra una bella ragazza ma ha sessant’anni luminosi, un figlio da un precedente matrimonio («conoscevo bene la parola mamma nella versione single e lavoratrice») ed è un vulcano di idee e ideali. C’è l’amore per le scarpe rosse (più che un messaggio, in certe occasioni una bandiera), l’ansia di spiegarsi e non essere fraintesa, il crinale pericoloso da quando è diventata una first lady.
In quegli anni è stata blandita, circondata, adulata come da copione. E soprattutto considerata molto influente per passionalità di carattere e storia professionale (è al palazzo di giustizia di Milano dove seguiva i processi più importanti che conosce l’avvocato-futuro sindaco). Così nel libro decide di affrontare la faccenda: «Ho discusso con un’amica del concetto di potere. Che per me non è per forza una parola brutta. Mio marito dice che il potere che a lui interessa è quello di fare le cose. Potere come un verbo, non sostantivo. Certo, quando sei la prima a vederlo al mattino e l’ultima a salutarlo la notte, è facile che tu qualche influenza ce l’abbia, che il tuo giudizio, se si fida di te, abbia un peso. Diciamo che la comunanza diventa un privilegio». Poi succede che durante un dibattito qualcuno la rimproveri di essere responsabile della scelta di Pisapia di non ricandidarsi. «È un’enorme sciocchezza. Non gli ho mai chiesto di fare qualcosa. Ho sempre cercato di mettermi accanto».
Nel libro manca l’epica dei cerimoniali, dei menù, degli strascichi dei vestiti per la Scala (per le grandi occasioni c’è stato Giorgio Armani, racconta, chi altri?). Invece la galleria degli incontri è affollata, personaggi, sindachesse, donne e mogli da prima pagina. «Non è stato semplice accantonare i panni che ho sempre vestito», dice. Quindi nessuna sottrazione alla sincerità delle impressioni e della critica. Seduta vicino ad Agnese Landini si chiede cosa significhi essere la moglie di Matteo Renzi. Ma, ricorda, è stato più facile parlare con il premier. Che infatti le racconta come le scelte siano state fatte insieme alla moglie. «Certo», dice il premier, «per Agnese è difficile, ce ne siamo andati tutti, non solo io. Gli amici di sempre adesso sono a Roma, non alla trattoria toscana fuori Firenze. Solo lei è rimasta a casa. E ci guarda da lontano». Nella presentazione a Michelle Obama il nome di Cinzia Sasso viene precipitosamente seguito dalla formula rituale «moglie di». Tra loro basta uno sguardo e scoppiano a ridere insieme.
Il pragmatismo della scelta impone un’interpretazione professionale, col cuore ma fino in fondo.«Le cose semplici potevo farle io per lui. Faccio quello che serve a lui, al suo ruolo». Appena sveglia gli prepara i vestiti sul letto. La sera lo aspetta, in mano il suo cocktail preferito. La moglie perfetta, a metà tra la geisha e Doris Day, un lavoro d’amore al servizio di chi è al servizio, per costruire qualcosa insieme. «Senza di lei non ce l’avrei fatta», ha ammesso una volta Pisapia.
«Moglie» è un diario intimo che diventa pubblico, il racconto della sua vita, l’infanzia a Venezia, il lavorare duro e studiare tosto, le maestre e le amiche, la scoperta di un tumore, pochi anni fa, che cambia la prospettiva. E in primo piano la dichiarazione d’amore per Giuliano e per il valore che potrebbe avere uno così per il Paese (inconscia comunicazione politica?). Ma il filo conduttore del libro, alla fine, è la riflessione, scritta ma è come se fosse a voce alta. Riflessione per raccontare a se stessa e alle donne - per cui prova, «spero si capisca, un amore e una stima sconfinata» - i motivi di una scelta che nessuno si sarebbe aspettato da lei. Non bisogna più avere paura di volare per qualcun altro, è il senso. Soprattutto se si dedica un libro «alla mia metà del cielo». Che siano le donne secondo Mao Tze-tung ma anche, per una volta, il proprio marito.