In un panorama confuso e senza leader riconosciuti, è partita ?la caccia agli alleati

Ventiquattr’anni dopo, Silvio Berlusconi non ha ancora finito il suo lavoro: badare alle sue aziende e pensare al partito, due facce di una stessa medaglia. Anche in questo il passato non passa, e incombe “La grande Restaurazione” (l’Espresso n.1). Oggi come ieri il destino imprenditoriale di Arcore transita per Roma, lambisce governo ed equilibri di sistema, corre parallelo alla vicenda politica. E ne mima umori e toni: con Vincent Bolloré il Nostro prima tratta, poi rompe e sceglie la carta bollata, ma solo per riprendere i negoziati sul futuro di Mediaset lungo l’asse di interesse nazionale Telecom-Mediobanca-Generali; intanto con i cinesi in corsa per il Milan sorride, media, alza il prezzo, ma quando sta lì lì per colorare di giallo i rossoneri, s’inventa un predellino e ricomincia daccapo: B. è sempre B., in azienda e in politica.

Qui però le cose, se possibile, sono perfino più complesse. Rimettere insieme i cocci dell’ex Polo delle libertà è impresa ardua, e se in Francia (ad aprile) o in Germania (a settembre) la sfida elettorale si giocherà tra moderati ed estremisti - François Fillon contro Marina Le Pen; Cdu-Csu di Angela Merkel versus AfD di Frauke Petry - qui la destra si è frantumata in un panorama confuso dal quale non spunta un leader riconosciuto. Per ora ad alzare la voce è l’estrema destra, storicamente tenuta sempre ai margini della scena. Per il resto, tutto è sfilacciato. Di Forza Italia ce n’è più d’una. C’è il cerchio rosa che blinda Palazzo Grazioli e il suo inquilino; c’è Giovanni Toti impegnato a fare da ponte con l’esuberante Matteo Salvini; c’è la fronda dell’ex pupillo Raffaele Fitto, ansioso di rottamare il Capo; e c’è il fronte dei fuorusciti, gli ex fedelissimi Denis Verdini e Angelino Alfano, incerti tra un forno e l’altro, e tra giocare in proprio o riannodare i fili del dialogo. Una volta, poi, l’ex Cav. regnava su una coalizione obbediente; oggi Salvini vuol ballare da solo (con Giorgia Meloni): B. non è più il sole intorno a cui tutto il sistema gira, com’è stato per un ventennio.

Un caos. È come se la destra, archiviata l’alleanza laici-cattolici fulcro del moderatismo all’italiana, cercasse una nuova identità. Nell’attesa, liberi tutti. Già, ma per andare dove? E perché? Il fatto è che molto è cambiato da quando sulla scena sono apparsi nuovi protagonisti. Matteo Renzi, per esempio, ha immaginato un Pd capace di attirare voti di centro, magari strappando a Berlusconi i consensi di chi lo vedeva come il campione dell’antisinistra: del resto, al posto dei “comunisti” era arrivato un leader post democristiano per il quale non c’erano cose di destra o di sinistra, ma solo cose da fare… E invece la sconfitta nel referendum, voluto per sancire la svolta, ha spezzato il suo disegno: ora la minoranza del partito sente di nuovo il vento nelle vele, e la destra più radicale si è intestata la vittoria convincendosi che il “no” sia figlio diretto della protesta e dello scontento, le sole parole scritte sui loro vessilli.

Per questo Salvini & Meloni parlano ora come gli azionisti di riferimento del postberlusconismo, pur sapendo che c’è un grosso ostacolo sulla loro strada: Beppe Grillo, il terzo incomodo. Intendiamoci, il movimento Cinque Stelle è costruzione ben più complessa, miscela geniale uscita dagli alambicchi del profeta Casaleggio, ma certo gli apprezzamenti per il premier ungherese Viktor Orbán, l’uomo dei muri, e per il campione dell’antieuropeismo Nigel Farage, o le parole nette contro gli immigrati hanno poco a che vedere con le radici ambientaliste e di sinistra, e poco c’entrano con il campo dei moderati. Profumano piuttosto di destra protestataria, e anche per questo concorrono a frenare l’espansione lepenista di Salvini.

Che dunque ha bisogno di alleati (ogni tanto lui e Grillo si annusano…), come del resto Berlusconi. Ma mentre il primo insegue sogni maggioritari, il secondo si batte per il ritorno al proporzionale: pensa sia l’unico sistema capace di sterilizzare Grillo e di ridimensionare Salvini e Meloni, premessa per ricompattare una destra moderata e preparare l’unico governo possibile in un sistema tripolare, quello di larghe intese. Restano le domande di fondo: chi verrà dopo di lui? E guarderà a Merkel o a Le Pen? Stefano Parisi s’era messo in testa di rispondere. B. ha lasciato fare, poi lo ha fermato, poi lo ha prudentemente rilanciato, un po’ per non rompere con gli ex alleati, un po’ perché convinto che la destra abbia oggi una sola identità riconoscibile: Berlusconi; e che abbia un solo leader: Berlusconi. Per questo si sbatte ancora. Aspettando che Strasburgo gli restituisca l’agibilità politica. Per ricominciare. Ventiquattr’anni dopo?

Twitter @bmanfellotto

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