Era inceppato da sempre il sistema di cellule fotoelettriche che regola l’illuminazione del palazzo, danneggiato dalle eccessive escursioni termiche. Oggi finalmente ha ripreso vita: ci sono voluti due anni di lavori, i soldi di Qatar e Arabia Saudita e una ricorrenza speciale: il trentesimo compleanno del più importante centro di cultura araba a Parigi, uno dei più visitati al mondo. Qualche giorno fa il presidente dell’Ima, Jack Lang, ha festeggiato via Twitter il record di affluenza: oltre due milioni, più del doppio rispetto al 2016.
Con una grandeur d’altri tempi, l’Istituto del mondo arabo torna a risplendere nel panorama culturale parigino. Lo Stato contribuisce per circa la metà al budget complessivo, tra i 23 e i 24 milioni di euro l’anno, mentre il resto proviene da biglietteria, mecenati privati, corsi di lingua araba, affitto degli spazi. I Paesi della Lega Araba non versano quote annuali già da diversi anni, ma finanziano singoli progetti come nel caso del Kuwait, che ha investito tre milioni di euro nel restauro della più grande biblioteca di Francia dedicata al mondo arabo - oltre 70 mila volumi e seimila documenti antichi - riaperta al pubblico da marzo scorso dopo un restauro lungo tre anni.
Il cartellone è ricco, a partire dalla Biennale dei fotografi del mondo arabo contemporaneo (fino al 12 novembre), lo sguardo spiazzante di 50 artisti, in gran parte arabi, sui propri Paesi e le proprie società, con un focus su Algeria e Tunisia.
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Poi c’è la grande mostra “Cristiani d’Oriente - 2000 anni di storia” (fino al 14 gennaio): un viaggio attraverso le comunità greco-melchita, copta, maronita, sira, caldea in Libano, Iran, Egitto, Giordania, Iraq. Oltre 300 oggetti, icone, manufatti, preziosi dipinti, testi sacri - tra cui il Vangelo miniato di Rabula del VI secolo, scritto in lingua siriaca, custodito nella Biblioteca Laurenziana a Firenze - alcuni dei quali esposti per la prima volta in Europa. Due mostre e altrettante missioni difficili, quasi impossibili: gettare le basi per un nuovo rapporto di fiducia reciproca con la città, dopo le stragi jihadiste del 2015 e gli altri attentati rivendicati da Daech, come in Francia viene chiamato l’Isis. E al tempo stesso recuperare il dialogo interrotto, sfatare i luoghi comuni, alimentare la curiosità e rafforzare il soft power, combattere razzismo e pregiudizi in un Paese ancora tentato dalla destra populista.
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Obiettivo condiviso da un’altra importante istituzione culturale parigina: all’Institut des cultures d’Islam, nel quartiere più multietnico della capitale francese, la Goutte d’Or, in queste settimane è allestita la mostra “Lettres ouvertes, de la calligraphie au street art” (fino al 21 gennaio): dieci artisti internazionali sviluppano il tema della calligrafia per farla uscire dalla sfera religiosa, dalla tradizionale funzione di diffusione del Corano. Al piano terra, all’ora della preghiera di mezzogiorno l’imam accoglie fedeli e visitatori, incuriositi dalla scultura “Le Paradoxe” (2013), con cui l’artista marocchino Mounir Fatmi, tra i protagonisti dell’attuale Biennale di Venezia, si interroga sui concetti di interpretazione del testo sacro e di libero arbitrio; mentre lo street artist egiziano Ammar Abo Bakr presenta un affresco-manifesto in cui denuncia la violenza del potere durante la primavera araba in Egitto.
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I messaggi rimbalzano da una zona all’altra di Parigi, dalla Goutte d’Or all’edificio in vetro e acciaio progettato da Jean Nouvel. «L’immagine del mondo arabo, soprattutto nei mass media, è fortemente pessimista e negativa. All’Ima abbiamo il compito di ribaltarla», dice Aurélie Clemente-Ruiz, direttrice delle mostre dell’Istituto del mondo arabo, mentre visitiamo la grande libreria al piano terra: «L’obiettivo di queste due esposizioni è mostrare il mondo arabo nella sua polifonia. Di solito viene rappresentato come un blocco monolitico, uniforme, senza sfumature. Perfino in Francia, dove fa parte da sempre del paesaggio culturale. Perché un marocchino non ha le stesse abitudini di un egiziano, e tantomeno di un siriano. È come dire che un italiano, un francese e uno scandinavo hanno lo stesso stile di vita e le stesse idee».
Escono dai canoni della fotografia documentaria le immagini esposte, sconfinano nella poesia, si aprono alle emozioni. È il caso dei ritratti di Laila Hida, 34 anni, fotografa di Marrakech. Lavora con il designer marocchino Artsi Ifrach, reinterpreta i segni della tradizione con il linguaggio della moda. E indaga sulla tradizione e le sue costrizioni anche la giovane fotografa Tasneem Alsultan, nata e cresciuta negli Stati Uniti, oggi residente in Arabia Saudita, sposa a 17 anni e vissuta per sei anni lontano dal marito. «Un matrimonio durato dieci anni che non mi ha resa felice. Ma sono stati in parecchi in famiglia a dirmi che non aveva senso chiedere il divorzio», scrive Alsultan nel testo che accompagna le foto. Nei suoi lavori racconta l’amore in Arabia Saudita, i matrimoni, le cerimonie e i ricevimenti in famiglia. «Più raccoglievo storie, più mi rendevo conto che la realtà era lontana dagli stereotipi. Ho incontrato vedove, donne felicemente sposate, divorziate. Ho esplorato il concetto di amore fotografando mia figlia e mia nonna», aggiunge la fotografa saudita.
Parole dissacranti, visioni non allineate al pensiero dominante, che si ritrovano nello sguardo degli artisti di questa biennale, fiore all’occhiello dell’Istituto del mondo arabo. Ma che rapporto hanno con l’Ima i musulmani parigini, in particolare i giovani delle banlieue? «Alcuni hanno una relazione molto personale, viscerale, altri lo sentono lontano. Una cosa è sicura: non lascia nessuno indifferente», ironizza Clemente-Ruiz. Che sottolinea un altro punto di forza: a seconda delle mostre in programma, l’Ima è in grado di attirare diversi tipi di pubblico. «Qualche anno fa abbiamo organizzato una mostra sul pellegrinaggio alla Mecca: tra i visitatori c’erano tantissimi musulmani praticanti. Nel 2015, la mostra sull’hip-hop ha intercettato un pubblico di giovanissimi che non sono certo habitué. E oggi l’esposizione “Cristiani d’Oriente” viene visitata da tanti cristiani che di solito non frequentano l’Ima». L’anno prossimo, almeno sulla carta, non sarà da meno: a marzo una mostra storica sul Canale di Suez - foto, video, materiali d’archivio - in autunno un’ampia retrospettiva sull’arte contemporanea in Arabia Saudita.