Aveva annunciato che avrebbe chiesto un risarcimento al ministero degli Interni per l'omicidio del padre. Il racconto della madre: «Lo hanno portato via senza accusa, è la terza volta che irrompono in casa nostra. Per loro non è sufficiente avere ucciso senza motivo mio marito, ora vogliono anche i miei figli»

L'orribile depistaggio sul caso Regeni che è costato la vita a cinque persone va ancora avanti. Il Cairo non si ferma davanti a nulla. E chiunque tenti di ostacolarlo finisce in manette. E’ successo di nuovo a Yasser Bakr, figlio di Mustapha Bakr, uno dei cinque membri della presunta banda di rapitori crivellati di colpi la mattina del 24 marzo dell’anno scorso. E accusati, poi, di essere i responsabili del rapimento e dell’uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio. 
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Il ragazzo era già stato arrestato una prima volta pochi giorni dopo il goffo tentativo di depistaggio, insieme al fratello Tareq; Tareq rilasciò infatti alcune interviste in cui sostenne che il padre non solo non aveva alcun legame con quanto gli veniva addebitato ma che sui suoi polsi c’erano i segni delle manette. Potrebbe essere stato ucciso mentre era addirittura legato. Inoltre aveva notato sul volto anche i segni di trascinamento. Non è mai stata eseguita un’autopsia indipendente che avrebbe potuto fare luce sulla modalità del decesso. 
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A settembre Tareq era finito nuovamente in carcere dopo che, durante il vertice a Roma tra gli inquirenti egiziani e quelli italiani, il procuratore generale del Cairo aveva lasciato intendere che la presunta banda non avesse nessun legame con l’uccisione di Giulio. Il giovane, infatti, si era fatto avanti annunciando che avrebbe intentato una causa civile contro il ministero degli Interni.  

Ora la colpa di Yasser Bakr è quella di avere chiesto nuovamente la verità su chi ha massacrato il padre mentre era su quel minibus in compagnia dei quattro colleghi. 

A dare la notizia del nuovo arresto, pubblicata dal sito albedaiah.com, è la madre: «I servizi di sicurezza sono piombati in casa e hanno portato via mio figlio" ha raccontato "non ci è stato detto nulla riguardo alle accuse o di cosa sarebbe colpevole. Nonostante il procuratore avesse assolto mio marito continuiamo a subire le ingiustizie di questo Stato. Per loro non è bastato averlo ucciso e infangato il nome della sua famiglia, ora arrestano anche i suoi figli». L’accusa più ricorrente in passato è stata quella di detenzione di sostanze stupefacenti. 
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In questi mesi gli arresti hanno riguardato anche i familiari degli altri membri della banda. Prime fra tutti, la moglie e la sorella di quello che è stato presentato come il capo. Nell’abitazione da lui frequentata sono stati fatti rinvenire alcuni effetti personali di Giulio. E proprio questi sono costati alle due donne l’arresto per ricettazione.

In realtà la famiglia aveva dichiarato in un’intervista, che diversi oggetti tra quelli sequestrati dalla polizia, perché sarebbero appartenuti a Regeni, erano di loro proprietà, compresi la borsa da donna, gli occhiali e l’orologio. Probabilmente è questa dichiarazione la vera motivazione dell’arresto.