Secondo episodio delle avventure dei banditi laureati capitanati da Edoardo Leo. Tra divertenti gag e ritmo veloce, uno dei pochi film che possono interessare un pubblico sotto i 40 anni

"Smetto quando voglio”, tre anni fa è stato un piccolo caso, uno dei tentativi più fortunati di svecchiare la commedia italiana. L’idea alla base, fu notato subito, ricordava molto da vicino “Breaking Bad”: un personaggio mite si mette per necessità a sintetizzare e spacciare droghe chimiche, infilandosi in un giro pericoloso. La novità del film italiano era appunto il contesto nostrano: gli spacciatori sono un gruppo di ricercatori universitari che, respinti ai margini dalla corporazione accademica e dalla crisi, decidono appunto di fare una banda. Il tono è indefettibilmente comico, tendente al demenziale, trasformando in paradosso la fotografia di una generazione di precari intellettuali in tempi di crisi, che non sa più bene qual è il suo posto nel mondo.

Il capo della “banda dei ricercatori” è un neurobiologo (Edoardo Leo), a cui si uniscono altri disoccupati e sottoccupati alle soglie della quarantina: un chimico-lavapiatti, due latinisti-benzinai, un economista-pokerista, un archeologo e un antropologo. Qui li ritroviamo dopo essere stati arrestati, e lo sviluppo è quello più collaudato: la polizia li assolda per dare la caccia ai produttori di smart drugs, sostanze psicotrope di fresco conio che riescono a circolare per un periodo, prima di venir dichiarate illegali. Il tutto è concepito come una saga: il finale è sospeso e introduce il teaser dell’episodio 3.

Lo spettatore del film è idealmente uno che ha già visto il primo episodio: senza una fresca conoscenza molti passaggi sono incomprensibili. Il risultato finale però ne guadagna, perché salta le premesse e le presentazioni dei personaggi, e si butta subito sulla vicenda, con gag e battute spesso divertenti, un ritmo veloce e una parte finale da film d’azione. Agli attori dell’episodio precedente se ne aggiungono altri, anche se in realtà non tutti sono all’altezza (i preferiti di chi scrive restano Libero De Rienzo, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti e Valerio Aprea).

Purtroppo torna anche la tremenda impostazione visiva con colori da Instagram, filtri dégradé e riprese aeree montate veloci. Ma tant’è. Tentativo di commedia non stupida e non scollegata dalla realtà, il progetto “Smetto quando voglio” prova a recuperare qualche decennio di ritardo del nostro cinema commerciale, e quanto meno sembra uno dei pochi film italiani che possano interessare un pubblico sotto i 40 anni.