Un alto funzionario del ministero teneva una minuziosa contabilità dei soldi ricevuti in cambio di favori. Quel quaderno adesso racconta oltre un ventennio di malaffare

Lui è un funzionario ministeriale con incarichi di controllo nel campo della sicurezza sul lavoro, loro sono le aziende interessate a superare l’esame e, se possibile, a farlo in tempi brevi e certi. Eppure, tra l’ingegner Michele Candreva e molti di quegli imprenditori, almeno dal 1989, si era instaurato un rapporto anomalo. Loro pagavano e lui elargiva autorizzazioni. Uno scambio di favori puntualmente annotato in un libro mastro, da cui emergono oltre due milioni di euro di tangenti. Un bilancio mensile e annuale preciso, neanche fosse stato un commerciante o un libero professionista. Da una parte la colonna delle entrate, e cioè delle tangenti che gli investigatori ritengono abbia intascato, dall’altra quella delle uscite, con tanto di nomi (o sigle) e date d’incasso. È la contabilità del corrotto. Quella che nessuno, fuorché lui, avrebbe mai dovuto conoscere, aggiornata con certosina precisione su una comunissima agenda dalla copertina in pelle marrone scoperta dagli investigatori nell’abitazione a Roma del funzionario ministeriale. Per l’accusa sarebbe stato al servizio delle società che avrebbe dovuto giudicare e che intanto, sottobanco e dietro congruo pagamento, consigliava con le sue autorevoli consulenze.
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La doppia vita professionale dell’ingegnere Michele Candreva, 56 anni, originario di Spezzano Albanese, in provincia di Cosenza, è conservata lì, nelle pagine vergate a mano di un’agenda: poche lettere e tante cifre, al ritmo di due o tre missioni al mese, che la Guardia di finanza di Udine è riuscita a decriptare quasi per intero e che è diventato ora l’asso nella manica dei magistrati che hanno aperto un’inchiesta. Perché quello che Candreva faceva nel tempo libero, quando, salito sul treno con i suoi tre telefoni cellulari, il timbro ministeriale e la valigetta ventiquattr’ore piena di documenti, si recava di persona dagli imprenditori che lo chiamavano e remuneravano, e questo per gli investigatori era l’inizio del viaggio della corruzione del funzionario. Quell’odiosa consuetudine di violare le regole e credere di arrivare da qualunque parte, sbaragliare qualsiasi concorrenza e bypassare ogni ostacolo, semplicemente oliando il sistema. Versando e riscuotendo tangenti.

La forza di Candreva stava nella strategicità degli incarichi che occupava all’interno del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali: coordinatore della commissione Opere provvisionali, presidente della commissione che disciplina le modalità per effettuare le verifiche periodiche sulle attrezzature di lavoro e, all’interno della stessa, arbitro della commissione per la sicurezza sul lavoro, che ha esteso agli enti privati l’abilitazione a svolgere le verifiche. Una complessa gabbia amministrativa in cui ad avere l’ultima parola era sempre e soltanto Candreva. La Procura di Udine sta coordinando le indagini di questa inchiesta che dopo avere travolto il funzionario, promette di allargarsi anche a tutto il mondo amministrativo e professionale che gli ruotava intorno, fuori e, eventualmente, anche dentro il ministero.

Quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria sono entrati nell’abitazione di Candreva, nel quartiere Africano a Roma - una delle cinque che possiede nella capitale e delle quattordici proprietà sparse per l’Italia - gli investigatori hanno trovato mazzette di banconote suddivise in singole buste, probabilmente le stesse in cui gli erano state consegnate dai corruttori. Per il suo potere era chiamato “Re sole”. Arrestato il 18 novembre scorso, è stato scarcerato il 27 gennaio.

Nelle pagine del libro mastro ci sono, secondo gli inquirenti, le prove della corruzione. Difficile sbagliarsi: alla voce “uscite” corrispondevano i soldi anticipati per far visita alle aziende che nel funzionario del ministero del Lavoro avevano trovato una facile scorciatoia nella tortuosa burocrazia ministeriale, e a quella delle entrate, trascritta alla rovescia, le somme intascate a fine trasferta, con tanto di rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio, talvolta anche sotto forma di buoni benzina. Colonna a parte per i “fitti”, cioè i canoni che mensilmente riceveva per le proprietà date in locazione. Alla fine di ogni anno, tirava una riga e tracciava il bilancio: tutto “kesc” (forse intendeva denaro contante) e suddiviso per tipologia di commissioni.

Tra un conteggio e l’altro, capitava che ci scappasse anche il tempo per le statistiche: un foglio volante trovato nella copertina del diario assomiglia in tutto e per tutto a una graduatoria delle tangenti, dal primo al quinto posto, con nome del cliente ed entità dell’importo.

Il meccanismo, sopravvissuto anche ai colpi di Tangentopoli, era ormai rodato. Una consulenza dopo l’altra, per evitare agli imprenditori errori nella compilazione delle domande da sottoporre al vaglio delle Opere provvisionali. In ballo, l’autorizzazione a vendere sui mercati nazionale e internazionale costosissime macchine industriali.
Secondo gli inquirenti, Candreva non avrebbe esitato a intervenire anche su pratiche già spedite e protocollate, emendandole e sostituendole a quelle originarie. E visto che tra i suoi poteri c’era anche quello della commissione per la sicurezza sul lavoro e che il riscontro incrociato tra le 102 società iscritte dal 2012, quando a decidere era lui, e gli appunti trovati nel libro mastro è stato in buona parte positivo, tutto lascia supporre agli inquirenti che le bustarelle servissero anche a spianare la strada agli enti privati candidati a ottenere l’abilitazione. Al di là degli aspetti strettamente giudiziari, basta di per sé a gettare un’ombra sulla catena di controllo che sovrintende al delicato settore della sicurezza sul lavoro, in un Paese dove, solo nel 2016, la media degli infortuni, in particolare le morta bianche, ha toccato l’impressionante record di due vittime al giorno.

Nel fascicolo aperto dai magistrati sono confluite anche fatture emesse da Candreva ad alcune ditte a titolo di rimborso per la sua partecipazione a seminari: il punto, ora, è chiarire se quegli incontri siano mai realmente avvenuti.

I nomi delle aziende legate a doppio filo al funzionario del minsitero del Lavoro sono ancora coperti da segreto investigativo, in attesa della notifica dei relativi avvisi di garanzia. Perché l’inchiersta si è allargata dopo la scoperta del diario delle tangenti. Nel registro degli indagati sono così finiti amministratori e imprenditori di società inserite in vari campi. Proprio come la Pilosio spa di Feletto Umberto, storica azienda di costruzioni dell’hinterland udinese, l’unica finora sottoposta a perquisizione da parte della Guardia di Finanza. I sospetti erano partiti proprio da qui. Le intercettazioni autorizzate nell’ambito di una precedente indagine avevano catturato le conversazioni tra un dipendente e Candreva e questo aveva insospettito i finanzieri guidati dal tenente colonnello Davide Cardia spostando così le indagini su un filone più ampio. Per pagare l’onorario fuori sacco all’ospite romano, Pilosio si appoggiava a un consulente esterno compiacente. La triangolazione permetteva all’azienda di fatturare e, quindi, di scaricare comunque il costo, e al funzionario di incassare moneta sonante. Altrove, specie su Roma, la medesima operazione era prerogativa di un professionista di fiducia.

Interrogato per la seconda volta in due settimane, a fine gennaio Candreva ha cominciato a rompere il muro di silenzio dietro il quale si era trincerato dopo l’arresto. Era stato lui, all’approssimarsi delle festività natalizie, a chiedere al pm Marco Panzeri di essere sentito. Il primo faccia faccia, però, si era chiuso con un niente di fatto: assistito dallo studio legale dell’avvocato Giulia Bongiorno - che ha deciso di non rilasciare alcuna dichiarazione - il funzionario si era limitato a ricondurre le consulenze nell’alveo dell’attività privatistica e a giustificare iPad e computer portatili, a loro volta messi a registro nel libro mastro, come normalissime regalie per la disponibilità dimostrata a chi gli chiedeva una mano. Ci sono regolamenti, però, che non consentono a un dipendente pubblico di accettare regalie.

Candreva, tornato in cella, ci ha ripensato e al secondo appuntamento con il Pm si è sbottonato, collaborando nella ricostruzione degli ultimi sei anni di consulenze, le sole per le quali non si prospetti ancora la spada di Damocle della prescrizione. Prime crepe di un puzzle ancora pieno di punti interrogativi e foriero, forse, di verità sotterranee che rischiano di smascherare un castello di complicità.

Del resto, prima che il palco cascasse, a schermarlo era la sua stessa posizione più o meno defilata nel labirintico mondo dell’amministrazione ministeriale: un ufficio sicuro, una rete consolidata di contatti e nessuna ambizione di avanzamenti di carriera. Decidere chi accreditare e chi no significava detenere un potere esponenziale e mantenere un tenore di vita decisamente più alto di quanto, con la moglie - peraltro al suo fianco alle Opere provvisionali - avrebbe potuto permettersi.

La direzione generale del ministero preferisce astenersi da qualsiasi commento. «Stiamo assicurando massima collaborazione alla Procura di Udine», si limita a confermare il neo dirigente Romolo De Camillis, al lavoro con l’inventario della documentazione che risulta sparita dall’ufficio di Candreva. Non le manda a dire, viceversa, il procuratore di Udine, Antonio De Nicolo: «Purtroppo, questa vicenda conferma come molte imprese preferiscano pagare e tacere. Mentre a gran voce, sulla stampa, si demonizza la corruzione come fosse la rovina dell’economia italiana, poi nei fatti non si fa niente per denunciare i taglieggiatori». Per non dire della difficoltà oggettiva di scoprirla. «L’unico modo per penetrare la segretezza di reati come questo, in cui testimoni e tracce sono pressoché assenti, è il ricorso alle intercettazioni telefoniche e ambientali.

Ma la legge in vigore, che ne autorizza l’utilizzo soltanto in presenza di ipotesi di reato che prevedano un certo numero di anni di pena, non aiuta. È anzi evidente come ci sia un interesse a complicare l’attività inquirente e anche questo spiega perchè la nostra macchina giri spesso a vuoto», dice il procuratore. Con il risultato di vedere l’Italia relegata ancora nella parte bassa della graduatoria sull’indice di percezione della corruzione nel settore pubblico e politico, elaborata da Transparency International: nel 2016 eravamo terzultimi in Europa e sessantesimi su 176 nel mondo.