Il porto di Rotterdam, tra i più grandi d'Europa, è diventato uno dei centri del narcotraffico internazionale gestito dalla mafia calabrese. Che usa come copertura il commercio delle piante

«Quelli sono i meno pagati di tutti, qui al porto». Niek Stam, segretario del sindacato dei portuali di Rotterdam, indica la guardia che controlla gli accessi ai moli. «Che possono fare contro i trafficanti di droga? Quelli arrivano di corsa con i Suv, prendono i borsoni di cocaina e spariscono». Senza che nessuno batta ciglio.

Funziona così il porto di Rotterdam, il più importante d’Europa. Fiore all’occhiello del sistema mercantile olandese, ma al tempo stesso pilastro dell’impero del narcotraffico della ’ndrangheta, che fra il lavorio delle gru e il viavai dei container riesce facilmente a nascondere i grandi carichi di cocaina, la principale valuta del suo sistema criminale.

Stam, cinquantenne in piena forma, alto e chiarissimo di occhi e capelli, difende la sua categoria: «I portuali hanno poco a che fare con il traffico», sostiene, ma riconosce che accedere ai container è fin troppo semplice, e scomparire ancora di più.

I terminal sono direttamente collegati alla rete di autostrade che lega il porto al resto del Paese e ai grandi centri logistici della distribuzione, come l’asta dei fiori di Aalsmeer, cuore del mercato floreale dell’Olanda e, recentemente, diventato un altro bastione della ’ndrangheta.

Due anni fa le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e Roma hanno scoperchiato un ricco traffico di cocaina che dal Sudamerica arrivava a Rotterdam come fiori. In attesa della sentenza di primo grado ad aprile, L’Espresso, grazie a testimonianze esclusive e documenti italiani e olandesi, può raccontare come la cellula si sia riorganizzata e continui a operare nei Paesi Bassi.

Vent’anni di storia
Il marcio è nascosto appena sotto una superficie idilliaca. Al centro dell’Aia, a pochi passi dal Mare del Nord, in un piacevole viale alberato c’è un ristorante dalla storia singolare: Rocco’s Pizza.

Ad averlo aperto non è un ristoratore qualsiasi, ma Rocco Gasperoni, 74enne di Gioiosa Jonica, che negli anni Novanta era tra i più importanti broker della droga per la ’ndrangheta. Condannato a quattordici anni di carcere dal Tribunale di Torino nel 2007, ha potuto vivere libero in Olanda fino allo scorso anno. è stato arrestato solo il 18 maggio 2016.

A metà pomeriggio, al suo ristorante, oggi c’è solo un cameriere sulla cinquantina seduto al sole. «Conosco il signor Gasperoni, lavoro con lui da anni», racconta presentandosi semplicemente come Franco. «È tutto un malinteso», aggiunge convinto.
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Eppure Gasperoni è noto alla giustizia fin dal ’97, anno in cui la Dia di Torino lo ha arrestato in Spagna. Una tonnellata e mezza di hashish il carico che, secondo gli inquirenti, aveva trafficato tra il Marocco, la Spagna, l’Italia e l’Olanda. Ma le intercettazioni a suo carico parlano chiaramente di grosse quantità di cocaina che avrebbe importato nascosta fra carichi di jeans americani per il negozio di abbigliamento che all’epoca gestiva all’Aia. I suoi fornitori erano, secondo la Dia di Torino, gli uomini del Siderno Group of Crime, la costola canadese del clan Commisso della ’ndrangheta.

In attesa di processo Gasperoni era tornato in Olanda ai suoi affari. Da quando è stata emessa la condanna, l’Italia ha ripetutamente allertato i Paesi Bassi chiedendone l’arresto. Ci sono però voluti altri nove anni, e un ultimatum della Procura Generale di Torino, perché la giustizia olandese recepisse la richiesta.
Sì, perché l’Olanda lo arresta, ma decide di fargli scontare la condanna nel proprio territorio e all’Italia è dovuta solo una comunicazione allo scadere del suo debito con la giustizia.

Piante e polvere
Ma quello che Gasperoni ha portato avanti da “innovatore”, altri lo hanno elevato a livelli mai immaginati prima. I fratelli Crupi di Siderno, luogotenenti del potente clan Commisso, avevano infatti trasformato il famoso mercato olandese dei fiori in una perfetta copertura per il traffico di cocaina.

Le spedizioni di prodotti freschi sono spesso le predilette dai trafficanti, perché beneficiano di controlli più rapidi e meno approfonditi. Sta anche in questo la genialità del sistema messo a punto dalla mente del gruppo Vincenzo Crupi e dai suoi uomini: moltissime piante d’appartamento vengono infatti dall’America Latina, e su questa rotta ci sono infiniti carichi fra i quali nascondere la droga.

Per fare buoni affari, però, servivano uomini sul campo. Vincenzo Crupi sceglie Vincenzo Macrì per un importante viaggio in Ecuador. Macrì, classe 1965, è il cognato di Vincenzo Crupi e figlio di Antonio “Zi ’ntoni” Macrì, uno dei più temuti boss della ’ndrangheta fino alla sua morte per omicidio nel 1975. Con lui c’era anche Massimo Dalla Valle, un imprenditore padovano.

Il compito di Macrì era entrare in Colombia per «vedere aziende che fanno rose». Che, per i Carabinieri che li intercettavano, significava droga.
Il porto di Rotterdam

Nell’interrogatorio con i pm di Reggio Calabria Dalla Valle, che è stato assolto dall’accusa di traffico di droga, allontana da sé qualsiasi sospetto, dicendo che Macrì aveva svolto vari incontri privati senza di lui. Non è stato possibile chiedere un commento a Macrì, che è tutt’oggi latitante.

Mentre i due si trovavano in America Latina, Vincenzo Crupi attendeva notizie nell’ufficio della sua azienda, la Fresh BV, dentro l’enorme edificio dell’asta dei fiori di Aalsmeer, vero e proprio tempio del commercio internazionale, con un giro d’affari di quattro miliardi e mezzo di euro all’anno e oltre 3.000 impiegati. Ogni giorno migliaia di piante arrivano da ogni angolo del mondo per essere impacchettate e spedite con centinaia di camion in tutta Europa.

Da qui partivano anche i carichi di droga dei Crupi per l’Italia. Ogni camion portava piccole partite di coca (tra i sei e gli undici chili per volta) e riportava in Olanda il contante. In rari casi mandavano anche carichi più grandi: fino a 100 chili.

Quanta cocaina esattamente abbiano portato in Italia in questo modo non è chiaro. «La sistematica attività di raccolta di denaro contante nelle regioni del Sud Italia e il trasporto dello stesso in Olanda, attività documentata anche in tutti gli episodi in cui è stato accertato il trasporto dello stupefacente, consente di ritenere che gli episodi accertati siano solo la punta di un iceberg», scrive nel fermo il pm Giuseppe Cascini della Dda di Roma.
Ma se sul fronte italiano l’operazione “Acero-Krupy” ha rappresentato un colpo importante alle strutture della ’ndrangheta, l’approccio olandese rischia di vanificare gli sforzi.

Infatti, un elemento cardine nella difesa degli imputati di questa operazione viene proprio dalle corti olandesi: i Paesi Bassi hanno infatti archiviato tutte le accuse. La ragione? «Insufficiente interesse nazionale. Questo perché pensiamo che l’accusa italiana sia più grave».

Le autorità olandesi, pur lodando i miglioramenti nella cooperazione con l’Italia, non hanno voluto chiarire se abbiano svolto indagini sui canali di approvvigionamento della cocaina dal Sudamerica all’Olanda, o sui collaboratori olandesi dei Crupi.

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Per funzionare efficacemente la Fresh BV faceva infatti affidamento su diversi imprenditori olandesi della floricoltura che, pur avendo lavorato a fianco dei Crupi per molti anni, dichiarano di non aver mai sospettato che i loro fiori avessero odore di mafia. La loro versione è stata accolta dagli inquirenti olandesi.

Eppure di alcuni di loro emerge un ritratto con più ombre che luci. Un esempio in tal senso lo fornisce Domenico Barranca. Arrestato assieme a Crupi, deve rispondere di traffico di droga, associazione mafiosa e ricettazione.
Domenico Barranca racconta come, per un mancato pagamento di una fornitura di fiori, uno dei loro partner olandesi, John Van Tol, avesse mandato due scagnozzi a pestarlo di botte proprio di fronte a casa sua.
Barranca si era sfogato per l’aggressione subita e le sue parole, intercettate, erano state interpretate come propositi di omicidio. Ma le accuse sono cadute e all’Espresso ha dichiarato di non aver mai avuto quell’intenzione. E di non avere dubbi sul mandante.

Vincenzo Crupi in Olanda ha una struttura societaria ampia e complessa. Secondo fonti confidenziali interne all’asta di Aalsmeer, per importare dal Sudamerica utilizzava l’azienda Sonia BV, aperta da Daniel Brouwer, cittadino olandese che ha lavorato con i sidernesi per 15 anni. Crupi controllava comunque l’azienda, tramite la holding Brialand BV, che detiene il capitale sociale di tutte le sue imprese. Dopo gli arresti il management del mercato di Aalsmeer ha cancellato il contratto di affitto della Sonia BV, di fatto escludendola dall’asta.
Ma l’importanza logistica di una base in Olanda è tale che difficilmente i clan vi rinunceranno, nonostante gli arresti.

Indizi emersi in questa inchiesta rivelano che la ’ndrangheta sidernese ha ancora un piede nella porta del mercato di Aalsmeer. Un collaboratore ha dichiarato ai pm di Reggio Calabria come Giuseppe Crupi, non appena scarcerato in attesa del processo, sarebbe tornato in Olanda a recuperare il server della contabilità della Fresh BV. «Giuseppe Crupi mi ha detto che aveva una certa urgenza di rimettersi in pista», svela un partner olandese dei Crupi.

Per tornare a lavorare con i fiori, Giuseppe Crupi sembra essersi riorganizzato anche in Italia. Poco prima degli arresti di settembre 2015, l’uomo accompagna all’altare fra siepi di rose bianche sua figlia, che dà in sposa a un giovane piastrellista sidernese. Meno di un anno dopo il neo-genero apre a Siderno un’impresa di fiori dal nome olandese, che importa direttamente da Aalsmeer.

Al telefono il genero nega con forza ogni legame fra la sua azienda e quelle del suocero: «Facciamo un lavoro diverso: loro fanno fiori; io piante». Prima aveva soltanto una ditta di pavimentazioni, ma si difende dicendo che lavorava già nel settore, per la Mimosa Fiori di Siderno.

La Mimosa Fiori non è purtroppo immune alle infiltrazioni della ’ndrangheta. Infatti il 75 per cento dell’impresa è stata confiscata nel 2011 perché riconducibile a Vittorio Barranca, boss di Caulonia, arrestato durante l’operazione Crimine.

Mentre l’indagine italiana ha rivelato il traffico di droga che i Crupi gestivano tra Olanda e Italia, la mancanza di un’altrettanto approfondita indagine sul fronte olandese lascia senza risposta molte domande, come quella del riciclaggio dei soldi. I canali di approvvigionamento dall’America Latina restano intoccati, ed è possibile che i Crupi continuino a usarli grazie a prestanome e soci italiani e olandesi.

«Indagini come questa rappresentano delle importanti opportunità, ma per coglierle fino in fondo sarebbe necessario un cambio di approccio investigativo», spiega il sostituto procuratore Antonio De Bernardo, che ha seguito l’indagine. «Abbiamo bisogno di un pool di magistrati internazionali che possa muoversi senza rogatorie. C’è un solo modo per combattere la ’ndrangheta: diventare globali come lei».

Il progetto
Questo articolo fa parte di una serie sul narcotraffico della ‘ndrangheta prodotta da Investigative Reporting Project Italy (IRPI) e sostenuta dal Flanders Connecting Continents Grant