Il Bosforo più largo: tra Unione e la Turchia collaborazione obbligata
Le due parti devono concentrarsi sulla prosecuzione dell’accordo sui profughi, sulla modernizzazione dell’unione doganale reciprocamente vantaggiosa e sulla comune lotta contro il terrorismo. E solo in seguito si potrà sperare che la cooperazione riesca a riparare i danni prodotti negli ultimi anni
In un recente articolo dal titolo un po’ drammatico “La fine della storia dei rapporti fra Europa e Turchia”, lo studioso italiano Fabrizio Tassinari ha scritto che il processo di adesione della Turchia all’Unione europea si è ormai concluso negativamente. In effetti, sembra esaurito e le probabilità che venga rilanciato sono scarse, se non inesistenti.
Ma questa storia non finisce qui. L’Unione europea e la Turchia dovranno ancora collaborare fra di loro, anche se non necessariamente come partner o membri dello stesso club. E saranno destinate a proseguire su questa strada sia pure soltanto attraverso accordi specifici, come ha dimostrato la controversa intesa sui profughi, dal momento che non hanno altra scelta.
Ciò non toglie, tuttavia, che gli eventi delle ultime settimane, quando la Turchia è venuta ai ferri corti con la Germania e i Paesi Bassi per il divieto ai suoi esponenti politici di fare campagna elettorale fra le comunità turche residenti in questi paesi, hanno compromesso molte possibilità di dialogo. I turchi si sono infuriati per l’atteggiamento delle autorità olandesi e per il modo inutilmente rude in cui hanno trattato un loro ministro. Questa dura presa di posizione contro il loro paese ha fatto buon gioco al presidente del consiglio uscente Mark Rutte che ha sventato il pericolo rappresentato dall’estremista di destra Geert Wilders.
Ma in entrambi i paesi, come altrove in Europa, si è giustamente scatenata una reazione contro le accuse frequenti e disinvolte di nazismo e di fascismo da parte del presidente turco che ha soffiato sul fuoco dell’antieuropeismo come espediente per raccogliere consensi al referendum sulle sue proposte di modifica della costituzione. Rimettendo in discussione le basi stesse dei rapporti fra il suo paese e l’Unione europea, il presidente Erdogan ha detto che «la Turchia rivedrà tutti i legami politici e amministrativi con l’Ue, dopo il referendum di aprile, ma manterrà le relazioni economiche».
Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) oggi al governo, che ha fatto tanto per promuovere la causa dell’adesione all’Unione europea quando è salito al potere per la prima volta, non è più entusiasta né ha forse più interesse per una simile prospettiva. Da tempo infatti ha abbandonato un programma di riforme ispirate dall’Ue per promuovere un ordine democratico in Turchia. E in questi ultimi anni abbiamo registrato, al contrario, una tendenza verso un sistema politico meno liberale dove l’indipendenza della magistratura e le garanzie costituzionali sono state di fatto sospese.
Questo declino ha subito un’accelerazione dopo il tentativo di golpe del 15 luglio dell’anno scorso spingendo il paese verso un inesorabile stato di emergenza in seguito al quale è avvenuta una grande epurazione all’interno dell’apparato amministrativo, del mondo accademico e dei media. Questa purga però non si è limitata ai membri della rete Gülen responsabile del fallito colpo di Stato, ma insieme alla persecuzione degli esponenti politici dei partiti filocurdi si è conclusa con l’incarcerazione di molte persone senza alcun capo d’imputazione ufficiale. Tra pochi giorni in Turchia si svolgerà un referendum su un pacchetto di emendamenti costituzionali che, se approvato dagli elettori, trasformerà il suo sistema politico in un sistema presidenziale, che abolirà la carica di primo ministro, concentrando il potere politico e amministrativo nelle mani del presidente esecutivo che sarà il leader di un partito politico. L’Assemblea nazionale, che è attualmente l’istituzione su cui si fonda la Repubblica turca, perderà molti dei suoi poteri e potrebbe essere destituita dal presidente. La sua capacità di fungere da contrappeso al governo sarà gravemente ridotta.
I meccanismi per la nomina dei membri dell’alta magistratura garantiranno un dominio della presidenza anche su questo corpo dello Stato, col rischio di mettere ulteriormente a repentaglio i già ristretti margini di indipendenza e di imparzialità del potere giudiziario erodendo la separazione dei poteri. E il fatto che questi cambiamenti politici in Turchia saranno accompagnati da un progetto di trasformazione sociale che tenterà di cancellare parte del retaggio occidentalizzante della tarda epoca ottomana e di quella repubblicana rende la questione di ancor più urgente attualità.
L’opinione pubblica turca, contro ogni previsione, vede ancora con favore l’adesione all’Unione europea, anche se dubita che sia un obiettivo raggiungibile. Ma le polemiche anti-europee e anti-occidentali alimentate dagli alti esponenti politici e dei leader d’opinione trovano rispondenza a causa della percepita mancanza di solidarietà da parte dell’Ue nel momento del sanguinoso tentativo di colpo di Stato del 15 luglio del 2016.
Guardando al futuro, sorgono molti interrogativi. Erdogan cercherà di ripristinare la pena di morte, proponendo magari la sua reintroduzione attraverso un altro referendum? Questo provvedimento otterrebbe sicuramente l’effetto di sospendere il processo di adesione all’Ue e, soprattutto, di rompere i rapporti con il Consiglio d’Europa. Con la possibile conseguenza che la Turchia si sottragga alla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nelle circostanze attuali è l’ultima istanza di ricorso giudiziario rimasta a molti cittadini turchi. L’Unione europea ha trascurato a lungo le vicende politiche interne della Turchia, come se l’opinione pubblica laica e democratica di questo paese non avesse importanza. A ciò si dovrà porre rimedio, ma Bruxelles potrà esercitare molta meno influenza su Ankara rispetto al passato.
Nel prossimo futuro le due parti dovranno concentrarsi sulla prosecuzione dell’accordo sui profughi, sulla modernizzazione dell’unione doganale reciprocamente vantaggiosa e sulla comune lotta contro il terrorismo. E solo in seguito si potrà sperare che la cooperazione fra le due parti riesca a riparare i danni prodotti negli ultimi anni, riconoscendo la necessità di un rinnovato impegno di entrambe per un futuro più costruttivo.