Scavi clandestini eseguiti con perizia. Budget da 10mila euro per acquistare i ritrovamenti di un pescatore del crotonese. Rivenduti a cifre molto più alte. Il clan faceva affari anche con gioielli e monete. I dettagli di uno dei mercati paralleli svelati dall'indagine di Catanzaro

«Ci dobbiamo strofinare nella terra... poi le troviamo e gliele portiamo». Fra le tante risorse dominate dagli Arena a Isola Capo Rizzuto, oltre alle attività produttive, ai migranti trasformati in business d'accoglienza, c'è anche lo splendore antico rimasto impigliato nelle giare, dentro le tombe, sotto le zolle smosse di duemila anni fa. Monete romane, gioielli bizantini, monili. Pezzi di civiltà diventati merce di cosca. Una delle economie parallele rivelate dall'inchiesta di Catanzaro è infatti quella dei reperti archeologici.

Già nel 2014 due giovani coinvolti nell'attuale indagine (Antonio Manfredi e Vincenzo Godano) venivano infatti seguiti mentre con una certa perizia, discutendo di statere, dracme e valori, organizzavano scavi clandestini, proponendosi ad esempio di procedere a quadrati di 20 metri per volta, circondati da picchetti e nastro rosso, per setacciare un'area che si era dimostrata ricca di frammenti. Da studiosi. Solo che i ritrovamenti non servivano ai musei ma al mercato nero, prima di arrivare al quale sarebbero dovuti passare però dal vaglio dei padroni.

Gli Arena, si comprenderebbe infatti da dialoghi e incontri dei due, esercitavano un “diritto di prelazione” sui ritrovamenti. Diritto che rimane tale anche nella seconda parte dell'indagine, più recente, che riguarda episodi del maggio 2016, avvenuti durante il periodo di reggenza di Paolo Lentini “Pistola”. Commentando un nuovo giacimento di antichità trovato in zona, Lentini si premura, insieme a un altro indagato, di usare un “escavatorino piccolo”, non grande, per non distruggere i reperti. E soprattutto di comportarsi bene. Perché altri che avevano trafugato senza la necessaria “autorizzazione” (quella degli Arena) avevano subito rappresaglia: gli hanno rotto le braccia, commentano.

Lo scavo potrebbe essere ricco. In quattro giorni, si dicono, “sfondiamo”, ci sarebbero monete d'oro. I reperti passeranno poi dalle mani di esperti, - fra le persone coinvolte, un professore di Crotone arrestato a gennaio, Pasquale Attianese, e un gioielliere locale - per restauro e valutazione. Quindi dal mercato clandestino potranno arrivare alle aste (anche solo online), producendo guadagni rilevanti. Gli Arena lo avrebbero già fatto in passato, come ricordano Godano e Manfredi discutendo sul prezzo e sui pezzi da presentare alla famiglia. «Lui compra le monete... con tutto il guadagno che gli ho fatto io... magari spende mille euro, e ne guadagna 10mila», commentano: «Noi lo abbiamo fatto ingrandire a questo capo mandria».
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La gestione dei luoghi per il saccheggio risponde a un'altra diplomazia parallela. Oltre che all'oscuro dalla polizia (per cui gli scavi avvengono sopratutto di notte), i tesori vanno tenuti nascosti ai concorrenti. Quando i due giovani chiedono a un mediatore dove avesse trovato alcuni reperti, lui risponde soltanto "strada facendo". E loro stessi tendono a non rivelare l'estensione di quanto stanno recuperando, abbozzando alle domande a riguardo con un "qualche bulino... qualcosa...". Ma la vera preoccupazione resta la prima. Discutendo dei modi per non farsi intercettare, sono preoccupati ad esempio del Gps al cellulare: «Questo qua che vedi è un carabiniere peggio di quello», dicono.

Nel giugno del 2016 altri indagati decidono invece di fare una cassa comune da 10mila euro per comprare le primizie di un pescatore del crotonese. Non si tratta di ricciole. Il giovane ha individuato una giara colma di reperti. Le monete sono rare, bizantine, gli intercettati sembrano entusiasti per i profitti possibili. «Va, piglia la cernia, al ritirare che fa, taratan, si piglia 4-5 cose, ohi, le ha a pozzo... hai capito come?», dicono, «questi qua li pigliamo e le portano in America, hai capito come?».

Delle prime venti monete naufraghe, riportate a riva e acquistate a 2mila euro, due sono già state venduti per 3.700. «L'abbiamo visto ieri sul computer... che l'hanno già piazzato». Gli indagati si chiedono allora se domandare al pescatore sub il recupero del vaso completo. Ma preferiscono alla fine non rischiare che si rompa, disperdendo quel contenuto prezioso. Per un gruppo di quei conii infatti dei potenziali clienti hanno già offerto 38mila euro. Che per i tombaroli marini non sono ancora abbastanza: contano di guadagnarne di più. Dal piccolo relitto sono stati pescati anche degli orecchini antichi, d'oro, con i pendenti. «Qualche cazzo di femmina di qua», sono certi, li vorrà. Anche per 100mila euro.